Tag Archivio per: pensieri

Galleria Vittorio Emanuele II, Milano

La mia Milano è sempre troppo lontana.

È dove il mondo corre più veloce e dove i colori, i rumori e gli odori convivono a migliaia tutti insieme creando un’ordine che la gente di campagna, e di mare, non capisce fino in fondo.

A Milano c’è sempre qualcuno che ti aspetta, un posto libero nei caffè del centro, camere di albergo che conoscono milioni di dialetti, taxi ovunque con interni in pelle e motori accesi. Stazioni metropolitane che inghiottono persone vestite come in provincia ci si vestirà tra qualche stagione.

Dalle vetrine delle librerie capisci molte cose sulla promessa milanese, copertine dai colori fluorescenti, titoli inglesi, font ricercati, volumi di fotografia e design, approfondimenti sull’industria culturale e biografie di grandi nomi della moda, del fumetto, della musica. Niente politica, quella occupa ampi luoghi interni e più nascosti.

Ogni mese interpreta colori differenti sul cemento e i palazzi soffocanti, mentre le ore del giorno sono un’intermittenza di neon e frenesia, profumi di take away e umidità nell’aria, cappelli e occhiali da sole vintage, calzini spaiati volutamente in vista sotto i jeans a tubo.

Milano è sempre troppo lontana se abiti al mare. Qualsiasi mare.

Quelli come me si sentono sempre un po’ stranieri, goffi, fuori posto, ma ne restano comunque affascinati. Ognuno per i suoi motivi.

Basta un pomeriggio di pioggia, una folata di vento che ripulisce il cielo e infine il sole nelle ultime ore del pomeriggio, con i riflessi che inventano geometrie su tutte le cose che riempiono la città. C’è una luce speciale, come ci sarebbe in ogni altro luogo della terra, ma pensate a uno che non conosce il termine metropoli, abituato a scoprire in ritardo le mode e le manie, uno per cui 20.000 persone sono abbastanza, per cui poche ore di treno per raggiungere Milano significano spezzare il fragile equilibrio del quotidiano e perdere l’ordine severo del fare, ripetere, fare e ripetere, lavoro e impegni, famiglia e amici, fare e ripetere.

E Milano è sempre troppo lontana, oltre i chilometri e gli orizzonti. Eppur bellissima.

Addirittura le pentole. E poi scarpe, reti, barattoli d’olio di motori per scooter, cisterne di plastica grandi abbastanza per nascondere all’interno anche due persone, corde, attaccapanni, bottiglie (un classico), salvagenti sfondati e più o meno un altro milione di oggetti che tra le onde, le correnti e le alghe hanno perso identità.

Ad ogni mareggiata il mare ci restituisce indietro tutto quello che gettiamo dalle barche, dai pontili, dai porti, o anche dalla riva. E nei fiumi. Anche quello che finisce negli scarichi di casa ha un’altissima probabilità di finire in mare, presto o tardi.

E se c’è una cosa che accade sempre, senza preavviso e senza orologio, ma con una certa costanza in ogni stagione dell’anno, è che ci torna tutto indietro. Che è anche una metafora non troppo assurda della vita. Il mare restituisce tutto – pensa che follia se decidesse di tenere qualcosa per sé.

Tutto torna indietro, nodi che vengono al pettine, errori che diventano ricordi e a qualunque distanza temporale continuano a ferire. Anche tra vent’anni, le cicatrici saranno sempre li belle esposte, in evidenza, protagoniste di un romanzo interiore. Tra vent’anni, forse, saranno anche meno sole.

Il mare, dicevo. E le mareggiate, il vento che soffia da nord, i detriti e lo sporco deposti in spiaggia come in segno di offesa.

Poi gli uomini con i rastrelli a ripulire tutta quella robaccia così in disarmonia con il resto del paesaggio. Le bestemmie e il graffio dei rastrelli sulla sabbia bagnata. Non c’è nient’altro da ascoltare.

Le gente s’incazza se le mareggiate arrivano fino alle strade e ai locali, rompendo vetrine, passerelle, cartelli, porte, trascinando via biciclette, vasi e cespugli. La gente s’incazza quando il mare si porta via le barche dai moli, trascinandole magari in qualche vialetto del centro. La gente s’incazza così tanto, ma a giudicare da quello che il mare restituisce dopo una mareggiata, non c’è motivo di arrabbiarsi.

Agli sgoccioli di dicembre qualcuno aspetta la neve, qualcuno il Natale, sicuro c’è chi li desidera entrambi. Si corre per i regali e sulla calcolatrice per non sforare con le spese. Ci sono le ferie, per alcuni, gli straordinari per altri, o anche la semplice routine per chi non fa differenza tra gli ultimi giorni dell’anno e quelli della primavera, abbigliamento e nebbia a parte. I social network e le pagine dei taccuini si riempiono di buoni propositi, di parole barrate e desideri intrappolati con inchiostro e grafite. Hashtag a fiumi, ondate continue di titoli acchiappa click come “Le 10 foto più belle dell’anno”, cappellini di Babbo Natale sui loghi aziendali, le vetrine che promettono sconti clamorosi, il calore di una tazza di cioccolato nel tardo pomeriggio.

E si iniziano a tirare le somme. Ci si guarda allo specchio, come per controllare il tempo, e qualcuno riesce pure a piacersi un po’ di più. Sfogliando gli archivi nel computer e sugli smartphone si cercano le foto e i momenti più importanti degli ultimi dodici mesi, si fa un back up e si fugge fuori casa per conservarlo al freddo degli ultimi giorni di dicembre.

Nel primo pomeriggio le ombre si allungano fino all’arrivo della nebbia e del buio. E quando non so più che ore sono e dove sto andando, sfilo via il guanto dalla mano e cerco il mio vecchio Swatch di acciaio – ogni volta scopro qualche graffio in più sul vetro – e misuro la lunghezza e la distanza dal posto in cui sono e quello che non riesco mai a raggiungere.

Agli sgoccioli di dicembre i conti non tornano mai, o almeno non ho mai incontrato qualcuno pronto a dimostrarmi il contrario. Non serve nemmeno cercare il modo di farli quadrare, basterebbe, semmai, amarsi un po’ di più, e guardare con più dolcezza, e pietà, i graffi e le cicatrici, sull’orologio e sulla pelle. Che poi sono la stessa identica cosa.

oche Moncler

Moncler può presentare tutte le giustificazioni che vuole, ma ormai ha perso. Può esporre denuncia e può stravincere ogni causa. Ne uscirà comunque perdente. Ma a vincere la battaglia non è Report, che tuttavia ha messo in luce una realtà nota a molti ma ignorata da molti di più.

I veri vincitori sono tutti gli altri brand che si comportano come Moncler, che hanno dalla loro la fortuna di non essere stati beccati, e ora hanno il tempo per coprire i loro imbrogli e passare addirittura per santi, improvvisandosi grandi amici degli animali.

I vincitori sono anche tutti quelli che prendono la palla al balzo promettendo prodotti realizzati in pieno rispetto della natura. E non solo: molte case editrici hanno già messo in sconto libri di ricette vegetariane; i brand di prodotti vegani incrementano gli investimenti pubblicitari; gli animalisti alzano il tono di voce; e quelli come me, invece, scrivono. Questi sono i veri vincitori. Continua a leggere

Lo sporco - foto di Davide Bertozzi

Ci sono cose destinate ad essere gettate nella spazzatura, nonostante abbiano più fascino, e dignità, di altre esposte in vetrina.

Ho pensato a questo durante un servizio fotografico. No, io non sono un fotografo, ma mi trovavo sul posto, sul set, si trattava di un negozio di antiquariato in cui sono esposte lampade di un secolo fa, tavoli e mobili ancora più datati, custoditi con una cura maniacale propria di chi è riuscito a trasformare una passione in un mestiere. Non un lavoro, un mestiere.

E insomma ero li dentro ad osservare tutti quegli oggetti esposti, che posavano passivamente in mezzo a luci e obiettivi puntati, con il rumore dello zoom che si sposta avanti e indietro, roteando su sé stesso mentre la messa a fuoco cambia l’importanza che si attribuisce alle cose del mondo. Continua a leggere

Sai che a guardarle, certe sere, non mi sembrano poi così lontante? Prima che faccia buio dico, quando il cielo è ancora abbastanza chiaro, che le vedi, lì. Non sembrano mica lontane come dicono.

Pensa se tutte quelle cose che ci hanno sempre raccontato sulla grandezza dell’universo, sulle distanze di anni luce, sui pianeti e tutto il resto, fossero solo una bugia.

Pensa se l’universo fosse invece questo posto in cui ogni giorno camminiamo. Saremmo soli per davvero, qui in questo mondo, e basta. E le stelle, boh, tipo lanterne, o lucciole, appiccicate la, in alto in alto.

La passeggiata notturna con il mio cane è il momento ideale per cercare nel buio i tasselli mancanti del puzzle della mia vita. Sembra una cosa banale. Poi però mi trovo da solo, in strada con il mio cane, come dicevo, e nel silenzio che si rovescia lontano dal suo zampettare c’è qualcosa che va oltre l’ascoltare, o il percepire. C’è una sorta di attesa durante la quale faccio una botta di conti sulla giornata trascorsa e quelle che l’hanno preceduta.

Ma i conti non tornano mai perché domani potrebbe accadere qualcosa come un soffio, una scelta, una canzone, una lacrima, un pensiero, un passo, un gesto, un movimento anche impercettibile, e l’ordine delle cose si ribalta. I conti quindi non tornano mai. Il mio cane invece si. Lui torna sempre, e con la stessa sicurezza mi aspetta quando sono io ad allontanarmi. E questa è una delle poche certezze che non hanno bisogno di un domani per essere confermate.

Il mare di Cattolica non ha il fascino e i colori di quello del sud. Neanche un po’. Ma a guardarlo tutto solo raggomitolato su sé stesso, in inverno, fa quasi tenerezza. Ed è stupendo. Non riesco ad immaginare la mia vita lontano dal mare. È una sorta di certezza, che se ne sta sempre li, qualunque cosa accada. Pare poco, ma di questi tempi.

In inverno il mare di Cattolica è più solo anche del cielo, dove almeno di tanto in tanto capita di incontrare qualche nuvola. Non si fanno nemmeno compagnia, cielo e mare, se non quando cala la nebbia, che è aria umida – aria bagnata fradicia -, una sorta di via di mezzo, di passaggio, di frontiera, tra i due. Tra il mare e il cielo. E qualche barca, all’orizzonte, pare un bottone che li tiene uniti.