I veri appassionati iniziano già nei primi giorni di novembre. Anche se la ricerca di un’idea originale è attiva tutto l’anno. A volte è una tecnologia, un nuovo modo di illuminare la scena, un motore per innescare un movimento, una serie di statuette ricercate.
Nei paesini di Provincia il momento del presepe diventa motivo di guerra, invidia e superiorità. In ogni quartiere si accendono micro battaglie dove a fare la differenza sono gli “oooh” e gli “aaah” del pubblico. In premio c’è il titolo “miglior presepe della città”. Mica poco. Pensate ad uno che durante tutto l’arco dell’anno non aspetta altro che questo momento, uno che per dodici mesi medita su innovazioni e migliorie, sperando di trovare l’intero vicinato davanti al suo presepe. Mica poco.
È così che il fascino del Natale diventa una guerriglia combattuta a suon di statuette, buoi e asinelli.
Ho visto presepi in cui scorre acqua vera, grazie ad un sistema idraulico che la spinge in un canale di plastica – il fiume – e la rimette in circolo in appositi tubi che raggiungono il tetto della struttura (il cielo), facendo poi cadere qualche goccia qua e là (la pioggia) sul muschio o sul prato. Vero anche quest’ultimo.
Ho visto sistemi LED a intermittenza che danno l’idea di lampi e fulmini, e udito il rumore del temporale dalle casse audio nascoste dietro un gregge di capre di plastica o addirittura dentro la grotta. Alcuni appassionati piuttosto futuristici e lungimiranti hanno installato una serie di binari che percorrono l’intero perimetro del presepe, dove, sopra di essi, vengono posizionati i Re Magi, che si muovono lentamente dando quel senso di attesa, arrivo, pazienza.
Piuttosto comune, ormai per tutti gli sfidanti, è invece il sistema di illuminazione del cielo stellato, con luci disposte sempre più spesso secondo le costellazioni più o meno amate dai progettisti. La più quotata è l’Orsa Maggiore, vai a capire il perché.
Nei quartieri di provincia la sfida è agguerritissima: dall’otto dicembre ogni presepe è aperto al pubblico, composto quest’ultimo dai soliti anziani curiosi e annoiati e da bambini ancora più curiosi ma che si annoiano dopo, e non capiscono, perché in fondo son bambini, tutta la ricerca, lo studio e la fatica necessari per la costruzione di un progetto di simile precisione.
L’anno scorso il campione in carica del mio quartiere, che da sette anni consecutivi vince qualsiasi sfidante per creatività, tecnologia e qualità delle statuette (alcune delle quali le conserva in cassaforte per il resto dell’anno), ha deciso di investire tempo e risorse per una campagna pubblicitaria: ha realizzato un manifesto in cui valorizzava la sua opera e invitava il pubblico a visitarlo ogni giorno dalle otto del mattino alle undici di sera, distribuendo decine e decine di fotocopie del manifesto nei luoghi strategici presenti nel raggio di 500 metri attorno casa propria: un tabacchi, un bar, una macelleria, una lavanderia, due pizzerie da asporto, un fornaio, un minimarket, una rosticceria, una farmacia, un asilo e una scuola elementare. Non ha però affisso nulla in chiesa.
Quest’anno la battaglia si fa davvero dura: lo sfidante più temuto, che negli ultimi inverni è sempre arrivato a un passo dalla conquista del titolo di miglior presepe del quartiere, ha investito tempo e denaro sui social network: ha creato una pagina Facebook e un canale YouTube in cui pubblica foto e video del suo presepe, definendolo “il più ambizioso tributo al Natale di tutta la Romagna”. Si mette dunque davvero male per il campione in carica. L’altro giorno l’ho intravisto mentre vagava in strada con il suo malloppo di fotocopie sotto braccio. Alla lavanderia si dice che abbia espanso la distribuzione dei suoi manifesti anche negli altri quartieri.
Al bar, invece, si vocifera che i due non si rivolgano più la parola e che la tensione degli anni precedenti sia nulla in confronto al gelo che li divide quest’anno, o almeno fino alla Befana, quando a nessuno fregherà più nulla dell’aria natalizia, dei Re Magi e delle statuette, e la vita di ogni giorno riprenderà il suo corso, il suo tepore, il suo lungo vagare senza mai voltarsi indietro.