dieta vegetariana

Ogni tanto ho sgarrato. Lo ammetto subito. E la mia scelta è piena di contraddizioni, sarebbe assurdo il contrario. Impegnarmi è stato davvero gratificante, un’esperienza incredibile che ho affrontato con una semplicità disarmante, mai come una rinuncia.

Ci sono tanti motivi per cui una persona può scegliere una dieta vegetariana, tra questi, i più “gettonati” riguardano il rispetto per gli animali e quello per l’ambiente. L’ambiente? Si, anche quello, perché l’allevamento intensivo è responsabile del 18% delle emissioni di gas serra e del 70% delle deforestazioni del pianeta. La mia motivazione riguarda il primo caso, anche se gli abiti che indosso sono pieni di sostanze animali (colla, pelle, imbottiture), da qui, appunto, le prime contraddizioni.

Non sono un estremista della cucina vegetariana, non sono quello che s’incazza contro chi mangia carne, quello che assicura l’incombenza di malattie mortali per chi non evita certi cibi. Non mi interessa quello che mangi tu. Piuttosto, provo dispiacere nel vedere quello che mangi (da dove proviene? Qual è la sua storia? Com’è arrivato fino al tuo piatto?).

Benefici della dieta vegetariana

Evitare di mangiare carne permette di trovare nuovi equilibri alimentari e interiori, e scoprire che questi sono collegati e collaterali.

Ho eliminato completamente la carne animale, anche se i derivati come uova e latticini fanno ancora parte della mia dieta settimanale. Ho diminuito fortemente il consumo di latte, evitandolo soprattutto a colazione dove preferisco la crema Budwig o il latte di soia. Ma comunque, non saprei dire con esattezza se il mio stare meglio dipende esclusivamente da ciò che (non) ho mangiato, ma di certo, negli ultimi 12 mesi ho riscontrato questo:

  • niente sinusite, gli anni precedenti me la portavo dietro per tutta la stagione invernale;
  • fisico più asciutto, stesso peso, merito anche dell’aumento dell’attività sportiva;
  • più forza fisica, se pensate che carne = energia vi sbagliate di grosso;
  • riduzione dei mal di testa, in precedenza erano frequentissimi in estate e in inverno;
  • zero problemi di reflusso e digestione;
  • escludendo il latte a colazione ho cancellato i problemi di acidità che spesso mi tormentavano al mattino.

Ma il beneficio che mi rende più orgoglioso è la consapevolezza di non essere parte del maltrattamento animale e all’industrializzazione della carne, che sono, in fondo, la stessa identica cosa. Questa è la vera conquista.

E sto davvero bene. Ho scoperto nuovi sapori, odori e piaceri completamente differenti da quelli a cui ero abituato, e anche se il profumo di un ragù è sempre una tentazione, rifiutarlo in cambio di un piatto di legumi non è una rinuncia, ma una conquista.

Eppure c’è ancora tanto in cui devo migliorare.

Se ti interessa approfondire l’argomento ti consiglio di leggere il libro Se niente importa – perché mangiamo gli animali, di Safran Foer, per me è stato davvero illuminante, quasi quanto il mio cane, che è il mio motivatore giornaliero.

I nonni li ho persi molto presto, non ho nemmeno fatto in tempo a conoscerli per davvero. E capirli. Conservo ricordi vaghi in cui sono infusi i racconti dei miei genitori, e forse molte cose non sono nemmeno mai accadute, anche se mi piace pensare il contrario.

A farmi da nonni ci hanno pensato i miei vicini di casa, una coppia di anziani fortemente legata alla mia famiglia, brave persone, di quelle che fanno bene al mondo. Gente che ha sempre lavorato, che ha conosciuto la miseria e ha viaggiato per cercare la fortuna. Gente che poi l’ha trovata per davvero.

Con loro sono cresciuto, con le storie sulla guerra e la povertà, con i consigli su come crescere sano e mangiare le cose buone, come il pane pucciato nel vino. La donna, in particolare, si è sempre raccomandata con me e mio fratello di sostenerci e volerci bene. Di fare i bravi, sempre. Ad ogni mia visita e a qualsiasi incontro occasionale non mancava mai la frase

Nella vita l’importante è volersi bene, tutto il resto non conta, davvero.

Me l’ha ripetuta così tante volte che non mi sono mai soffermato a pensarci su per davvero, come se fosse solo una frase e basta. Perché come molte altre persone ho il difetto di non ascoltare mai i consigli degli anziani.

Poche settimane fa quella signora si è spenta. Serena, in pace, ricca di una vita dura e dignitosa. Negli ultimi giorni a malapena riusciva a riconoscermi. Ma quella frase ce l’aveva sempre pronta nel repertorio. Bisogna volersi bene.

Con quelle parole si è spenta. E allora io ci ho pensato, finalmente, ho ascoltato – la sento ripetermi quella frase anche ora -, mi sono fermato, come solo davanti alla morte si riesce a fare. Stop. Ho cercato con ferocia di tenere stretti i ricordi e analizzarli uno ad uno senza giungere ad una conclusione precisa, sicuro che il senso della vita fosse esattamente li, come imprigionato. È servita qualche lacrima per capire una cosa apparentemente banale:

Il tempo non si ferma, certe cose non si possono proprio cambiare mentre altre non torneranno mai più, e l’unica cosa che possiamo fare per tenerle strette a noi è fermarci, ascoltare, e volerci bene.

Io che ho collezionato casini e guai di ogni tipo vorrei davvero riuscire a farlo, dimenticandomi della frenesia di questi giorni e di tutta la superficialità delle cose a cui sono solito attribuire troppa importanza.

Addirittura le pentole. E poi scarpe, reti, barattoli d’olio di motori per scooter, cisterne di plastica grandi abbastanza per nascondere all’interno anche due persone, corde, attaccapanni, bottiglie (un classico), salvagenti sfondati e più o meno un altro milione di oggetti che tra le onde, le correnti e le alghe hanno perso identità.

Ad ogni mareggiata il mare ci restituisce indietro tutto quello che gettiamo dalle barche, dai pontili, dai porti, o anche dalla riva. E nei fiumi. Anche quello che finisce negli scarichi di casa ha un’altissima probabilità di finire in mare, presto o tardi.

E se c’è una cosa che accade sempre, senza preavviso e senza orologio, ma con una certa costanza in ogni stagione dell’anno, è che ci torna tutto indietro. Che è anche una metafora non troppo assurda della vita. Il mare restituisce tutto – pensa che follia se decidesse di tenere qualcosa per sé.

Tutto torna indietro, nodi che vengono al pettine, errori che diventano ricordi e a qualunque distanza temporale continuano a ferire. Anche tra vent’anni, le cicatrici saranno sempre li belle esposte, in evidenza, protagoniste di un romanzo interiore. Tra vent’anni, forse, saranno anche meno sole.

Il mare, dicevo. E le mareggiate, il vento che soffia da nord, i detriti e lo sporco deposti in spiaggia come in segno di offesa.

Poi gli uomini con i rastrelli a ripulire tutta quella robaccia così in disarmonia con il resto del paesaggio. Le bestemmie e il graffio dei rastrelli sulla sabbia bagnata. Non c’è nient’altro da ascoltare.

Le gente s’incazza se le mareggiate arrivano fino alle strade e ai locali, rompendo vetrine, passerelle, cartelli, porte, trascinando via biciclette, vasi e cespugli. La gente s’incazza quando il mare si porta via le barche dai moli, trascinandole magari in qualche vialetto del centro. La gente s’incazza così tanto, ma a giudicare da quello che il mare restituisce dopo una mareggiata, non c’è motivo di arrabbiarsi.