A guardare troppo dentro te stesso finisce che ci caschi dentro. E uscirne non è mica così semplice. Sei da solo. Talmente solo che non ci sei nemmeno tu a farti compagnia. Nemmeno la tua anima. Stanne pur certo. E se è per cercare l’anima che sei precipitato in quel pasticcio, beh allora, mettiti pure il cuore in pace, che ci vorrà molto tempo prima di capirci qualcosa in tutto quel buio.

Appunto scritto spiando le luci di Firenze dal Ponte Vecchio

Ci sono mondi lontani e nascosti che si raggiungono solo ascoltando certe canzoni. Se c’è una rotta non è sicuramente segnata su di una mappa. E se anche esistesse non sarebbe fatta di carta ma di suoni, di note, accordi e melodie. Di un certo fare magico della musica. Suonare. Una mappa che non si legge ma si ascolta. A meno che uno riesca a leggere gli spartiti ed immaginarsi la musica dentro la testa. Dentro. Chi non è capace a farlo può ascoltare Fields of Gold di Sting, e ritrovarsi in un mondo pieno di campi dorati, un luogo lontano e nascosto, quasi dimenticato da tutto il resto della vita.

Oltre a incantare, interrompere, offendere, rimare e trasportare, le parole hanno anche lo strano potere di fermare un preciso momento. Che siano scritte o raccontate, incise o sussurrate, sono indelebili e impongono un certo ordine ed una precisa misura alle cose. Sono come firme che autenticano gli eventi. Ricordi. Voci lontane.

Che io debba scrivere è cosa di cui sono sicura. C’è in me un desiderio struggente di esprimere la mia vita in una forma duratura. – Christa Wolf

Magari è per questo che certa gente non sa stare in silenzio. Che parla anche a costo di sprecare parole solo per fermare qualche frammento nel tempo, un legame, un istante, un saluto, un ricordo. Per non restare sola. E pensare che su questo pianeta ci sono sette miliardi di abitanti, è difficile credere che possano soffrire di solitudine. Le parole sono una buona medicina. Ecco perché i social network. Perché Twitter, si, si, bastano anche 140 caratteri per sentirsi meno soli. Eccome.

Devono esserci le nuvole in cielo, scure e umide, in un orario preciso, verso sera, al calar del sole. Devono verificarsi favorevoli circostanze e singolari coincidenze per poter assistere ad un tramonto dalle trame dorate. Di quelli che smuovono masse di persone facendole correre sulle spiagge e nelle strade, fuori di casa, lungo i viali e i campi erbosi, senza muri attorno ma solo cielo a non finire. Così tanto cielo da averne quasi paura, di cadere, del vuoto, paura di restare soli per davvero. Tutto questo per un tramonto così lontano e prezioso che si manifesta con l’ambizione di mettersi in mostra e raccogliere applausi e meraviglia.

Come se un qualsiasi fenomeno della natura avesse bisogno del nostro elogio, della nostra attenzione, anzi, anche solo della nostra presenza.

Christa Wolf, “Nessun Luogo. Da nessuna Parte”.

Ogni parola pronunciata da Lara Loire pareva essere in perfetta sintonia con l’universo. Era il modo in cui parlava, e anche il suono, il timbro della voce. Erano le sue labbra che imponevano un ordine armonico, millimetrico e innamorato, alle cose e ai significati, alle parole e ai respiri, ai minuti e agli istanti di silenzio in cui il suo mondo si concentrava in un senso di attesa. Alla fine di ogni frase indossava un sorriso sempre nuovo e meraviglioso. Pareva quasi lo indossasse sul cuore, o sull’anima, che nel suo caso erano la stessa identica cosa.

Spionaggio è una parola negativa, di solito è il nemico a praticarlo. I Governi, per apparire più fini ed eleganti, usano il termine intelligence. In realtà intelligence e spionaggio sono la stessa identica cosa. E anche Governi e nemici, probabilmente, lo sono.

A volte non riesco a scrivere nulla. Nemmeno una frase, nemmeno un tweet. Ci sono momenti in cui vorrei scrivere anche parole a caso, per il semplice gesto di pigiare i polpastrelli sulla tastiera e trovare rifugio in un qualche sentiero ricamato dentro un racconto, una storia, o anche un semplice post.

Il cursore se ne sta immobile sul foglio bianco e non si sposta di un millimetro. Mi annoio e trovo un senso romantico anche in quel segmento digitale condannato ad un legame inscindibile con il mouse. Mi piacerebbe sapere come si chiama. Svolgo una ricerca sui nomi dei cursori, sono convinto che debbano avere denominazioni diverse, un po’ come gli alberi: ci sono gli olmi e i pioppi, i pini e le sequoie, eccetera.

E in effetti è proprio così. Ci metto poco a trovare un elenco ben fornito che li nomina uno ad uno. Li osservo velocemente e scopro che hanno nomi orribili, tristissimi. Quello che mi interessa, quel segmento verticale che appare sui fogli di testo, si chiama xterm. E basta.

Già, tutto qui. Poi la gente si illude di trovare un po’ di romanticismo, eleganza e filosofia anche solo in un nome. E questo di bello non ha nulla, nemmeno il suono. Forse è utile, facile da ricordare per uno sviluppatore. O almeno glielo auguro, altrimenti sai che fregatura.

Ci sono parole che andrebbero bandite dalla lingua italiana per almeno un paio d’anni. Parole che affollano il mondo della pubblicità, della radio, della tv e soprattutto della politica. Sono dei tormentoni linguistici che provocano seri danni alla comunicazione. Il termine più odioso, come segnala anche Massimo Birattari in “È più facile scrivere bene che scrivere male”, è criticità. Ascoltate le interviste dei nostri parlamentari e provate a farci caso: criticità territoriali, occupazionali, criticità nel tratto autostradale e tante altre tipologie di criticità, delle più creative. Stop! Creatività è un altro tormentone. Le agenzie pubblicitarie ne fanno grande uso in autocelebrazioni come “siamo un’agenzia giovane e creativa”, “offriamo soluzioni creative”, “la creatività è il nostro punto di forza”. Su LinkedIn, addirittura, chiunque può aggiungere la voce creativity alle proprie competenze ed esperienze.

Oltre ai singoli termini, ci sono delle espressioni che riempiono di parole senza significato il parlato e lo scritto quotidiano: soluzioni concrete è la migliore. Le banche offrono soluzioni concrete, mica ti fregano – ci tengono a precisarlo, si sa mai. Ma allora perché le usiamo? Perché siamo insicuri, crediamo che un lessico apparentemente ricercato ci dia una certa credibilità, ma purtroppo ci rende imprecisi e logorroici.

Due guru della comunicazione italiana, come il già citatato Massimo Birattari e Luisa Carrada, bocciano un’abbondante quantità di parole ed espressioni: esclusivo, prestigioso, creativo, trasgressivo, provocatorio, scomodo, impietoso – lui; coniugare, contaminazione, contesto, lavoro di gruppo, mediatico, momento di, monitorare, qualità della vità, riscoperta, segnale forte, significato simbolico, società civile, strumenti concreti, tempi tecnici, territorio – lei. A queste aggiungo: auspicare, stress, design, immagini d’impatto, potenzialità, molteplicità e ottimizzazione.

Queste parole andrebbero evitate in virtù di un linguaggio chiaro e preciso, e onesto, che non si perde e non si nasconde dietro alle criticità dell’italiano.