Sbaglierò, ma continuo a lavorare con carta, penna, dizionari, mappe e un sacco di altra roba antiquata e a diffidare delle liste di nomi generate con l’aiuto del computer….

Si conclude così un articolo di Annamaria Testa dedicato al naming, ed inizia, sempre con queste parole, un articolo di Luisa Carrada che parla dell’importanza dello scrivere a mano.

Che poi, se do un’occhiata alla mia scrivania, non trovo nulla di esageratamente tecnologico, se non un’artiglieria fatta di penne, matite, gomme, post it e Moleskine. La mia scrivania è lunga un metro e mezzo ed è rivestita con un mucchio di attrezzi da lavoro che richiedono un certo gesto – un gesto – che ha un ché di meraviglioso. Continua a leggere

I brand raccontano chi sei più di quanto credi.
Te li porti addosso e non ne puoi fare a meno. Ti mancano quando non sono con te, e non sono sostituibili. Quasi avessero un’anima. Ecco perché si chiamano lovemarks.

Ognuno ha i suoi. Anche chi si definisce no logo. Basta aprire il suo frigorifero, o frugare nella sua borsa, o guardare la marca delle sigarette.
Io ho i miei, che sono molto bravi a parlare di me.

Moleskine, è il taccuino più famoso del mondo. Già la parola taccuino mi fa impazzire – bellissima da pronunciare – ma non è tutto qui, ovviamente. Moleskine invita a raccontare grandi storie, o almeno abbozzarle. Quasi un tributo alla creatività. È questo che amo, assieme all’odore della carta, alla morbidezza delle pagine e agli adesivi nelle special edition. Continua a leggere

il deserto dei tartari

Non ci sono romanzi belli e non ci sono romanzi brutti. Ci sono se mai romanzi che piacciono e altri che non piacciono. Storie che si divorano in poche ore, e racconti che si abbandonano dopo poche pagine. E poi ci sono i classici. Oh beh, non che si debbano leggere per forza, non sono per tutti i lettori, i classici sono per quelli che li vogliono leggere, e basta. Continua a leggere

Moleskine

È importante vedere come la gente sceglie i nomi. Non si fa altro di sincero, probabilmente, per tutto il tempo che si campa.

Ogni tanto mi imbatto in certe frasi stupende che amo rileggere anche cento volte senza stancarmi del loro fascino. Frasi di cui non saprei di preciso che farmene, se non tenerle con me per un lungo periodo di tempo. Le scrivo allora sulla mia Moleskine, ne ho sempre una con me, e quando la sfoglio mi piacere incontrare, non per caso, quelle frasi, che con pazienza e dedizione ho lentamente ricopiato con la grafia più elegante che mi riesce. Continua a leggere

Creare un personaggio come Lisbeth Salander è un po’ come scrivere un disco di quelli che escono uno ogni dieci anni. Che ne so, roba da Pink Floyd. E anche Lisbeth la ascolti. Il suono dei suoi passi, pagina dopo pagina, leggero, perché lei è un soffio, un petalo scuro, e forse pesano più i piercing che si porta addosso delle sue ossa. Senti lo strusciare della sua giacca di pelle contro quella delle persone che schiva, e schifa. Senti anche la sua voce. Un po’ maschile, eppur sottile. Continua a leggere

La sera, al circolo Kappa, anche l’infelicità si fa un po’ più dolce, invece di logorare l’anima pare accarezzare la pelle e soffiare sui mozziconi, quasi volesse tenerli accesi per tutta la notte. Nella sala biliardi c’è chi rimane fino a tardi, fino a quando in strada non c’è più nemmeno il vento, e l’unico suono che si sente, dentro, è quello dei colpi della stecca, o il fruscio dei birilli colpiti, o lo scontrarsi della palla bianca con quella gialla, e la rossa ferma ad aspettare. I rumori sono soli più dei giocatori, che non fiatano, si guardano e con poche smorfie commentano i tiri dell’avversario. Continua a leggere

– Non riesco a disegnare, questi giorni.
– Io non ne sono mai stato capace.
– È come se non ci sia più niente in scala. Le prospettive si sono sganciate, gli assi incrociati, le proporzioni mischiate.
– Discorsi seri.
– Serissimi.
– Stammi a sentire, è una donna, mica te la sei sposata, mica è incinta di tuo figlio.
– Non ti sto dicendo che sono innamorato.
– E cosa mi stai dicendo?
– Che non riesco più a disegnare niente. Continua a leggere

Milano quel giorno era più bella che mai: c’era poco traffico e poca gente e quella poca che era a spasso sembrava che avesse profonde motivazioni per farlo e un grande amore per la città, turisti e abitanti che fossero.

Per scrivere una frase come questa bisogna percepire cose speciali in tutti i segni del quotidiano, vedere storie e magie dove nessuno le vede. Magari è una questione di odori, o dell’osservare la gente che passeggia per la strada, o i riflessi del sole sui vetri dei palazzi, i suoni della città, magari anche i silenzi – prova a cercarli, a Milano, ti giuro che ci sono -, il toccare i viscidi paletti della metro, cose così. Che poi sono storie, e permettono di raccontare una certa meraviglia. Continua a leggere