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Lisbeth Salander

Creare un personaggio come Lisbeth Salander è un po’ come scrivere un disco di quelli che escono uno ogni dieci anni. Che ne so, roba da Pink Floyd. E anche Lisbeth la ascolti. Il suono dei suoi passi, pagina dopo pagina, leggero, perché lei è un soffio, un petalo scuro, e forse pesano più i piercing che si porta addosso delle sue ossa. Senti lo strusciare della sua giacca di pelle contro quella delle persone che schiva, e schifa. Senti anche la sua voce. Un po’ maschile, eppur sottile.

Un personaggio come Lisbeth Salender forse nemmeno te lo inventi.

Lo copi, magari. Ma non da altri autori. Lo copi dalle strade, dalla gente in metropolitana, dai locali notturni che fanno odore di chiuso e di fumo, e hanno i bagni sporchi fino alle pareti. La copi osservando le persone a cui nessuno è particolarmente affezionato, che ti camminano affianco nelle strade del centro e nemmeno te ne accorgi, quasi non ci fossero, perché poi, effettivamente, sono invisibili. Sono molto più qualunque della gente qualunque, e dentro alle costole c’hanno un’anima un po’ timida un po’ incazzata, che si sfoga senza fare rumore, se non in quei passi, pagina dopo pagina, e nell’ago del tatuatore. Quei rumori li.

Non te la inventi una come Lisbeth Salender se una parte di te non si sente Lisbeth Salander.

Probabilmente ne sei attratto ma non sapresti nemmeno da dove cominciare con una ragazza così. Non sapresti nemmeno da dove iniziare, a parlarle, sfiorarla, prenderle la mano. Per questo ne scrivi.

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