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La casa è qui, a un milione di chilometri

Conosco gente che ha percorso milioni di chilometri intorno al mondo. Intorno, senza riuscire mai a entrarci dentro per davvero. Tutti i porti e tutti i mari, le grandi metropoli e le cime più elevate, le isole nascoste e le città antiche. Milioni di chilometri, passi, mattoni e cemento. Gente che ha calpestato la sabbia, la terra e i prati di tutto il mondo per tornare, sempre, a casa. Perché poi si torna sempre, con qualcosa in più, qualcosa in meno, ricordi, valigie piene e vuote, fotografie, cartoline e souvenir. Conosco gente che ha viaggiato così tanto che alla fine è tornata al punto di partenza. Come se non contassero i chilometri, ma qualcos’altro, non contassero le bandiere, ma una motivazione. Perché alla fine tornano sempre tutti a casa. Che ci vogliano due anni o anche tutto il tempo di una vita. Tornano a casa. Anche lasciando il corpo in un porto nascosto in un’isola della Grecia, o il cuore in una birreria di Monaco, la passione in un bordello francese, il sorriso nel traffico di Tokyo e i vestiti nelle nebbie inglesi. L’anima torna da dove è partita, torna alla prima valigia. Come fosse cenere di ossa cremate, evasa da ogni confine e ogni distanza per posarsi in una giornata di bonaccia davanti all’uscio di casa, ancora impregnato da quell’odore che si percepisce solo in quel posto e in quello soltanto. Anche dopo molto tempo. Quando si torna a casa c’è ancora quell’odore. Conosco gente che mi racconta queste cose, con una prosa elevata ed un piacere nel narrare i dettagli e le pratiche di tutto il mondo, gente che racconta al bancone di un bar, dove il pubblico è sempre lo stesso, che non applaude ma viaggia assieme alle storie del mondo. Conosco questa gente, che quando racconta dei tramonti africani e dei campi di grano si riempie gli occhi di bagliori e luccichii, come quelli degli anziani, che sono sempre un po’ umidicci e non si capisce mai se stiano piangendo.

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