Fotografare la pioggia
Piove a dirotto e le gocce di pioggia sembrano spari. Una mitragliata di proiettili d’acqua fini e sottili e letali, che forano, scoppiano e s’arrestano in tanti frammenti prima di unirsi assieme in un dito di bagnato che si innalza sulla strada. Come fossero spari. Che violenza che deve avere il cielo per svuotare tutti quei caricatori senza prendere la mira, sparare e basta verso il basso. Come dire “da che parte miro?”.
– In basso.
– In basso dove?
– In basso e basta.
I fulmini sembrano invece più geometrici, si lanciano come arpioni, sempre verso terra ma ragionando su dove precipitare, a caccia di balene nere, in mare o nei boschi, accompagnati a stento dai tuoni, che all’orecchio arrivano come esplosioni, granate, ma senza fuoco e senza fumo. Spaventano persino i cani, e i cani spaventati non s’avvicinano all’uomo perché loro sentono la vera paura e non la vogliono condividere con nessuno. I cani amano per davvero e il dolore se lo tengono tutto dentro, lo mandano giù tutto in un sorso con quella loro aria nostalgica negli occhi, da qui il detto essere soli come cani. Soli a guardare la pioggia da dietro la finestra. O fuori, in mezzo alla strada a farsi trivellare dai proiettili. Soli in mezzo alla strada bagnati fradici con la macchina fotografica, a scattare istantanee senza mai riuscire, dico mai nemmeno una volta, a fotografare la pioggia.
Ci vorrà un sacco di tempo per capire che c’è una tecnica precisa per intrappolare le fucilate del cielo e tutta quella faccenda di arpioni, balene e granate dentro ad un unico scatto. Ci vorrà un sacco di tempo e ci si ammalerà parecchio a stare sotto lo scroscio con i calzini zuppi e il culo gelato. Ci vorrà un sacco di tempo per prendere bene la mira. Puntare con precisione.
– Da che parte miro?
– Dritto davanti a te.
– Verso dove?
– Dritto e basta.
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