her, il film

Her di Spike Jonze verrà ricordato per tre cose: i dialoghi, le pause e la fotografia.

La cosa davvero pazzesca, in termini di comunicazione, è che nel film i dialoghi sono sempre presenti, e la scena si muove con la loro intensità e la frenesia, con la profondità e la dolcezza. E quando i dialoghi si fermano – come se dovessero riposare anche loro – il film frena bruscamente e quasi si interrompe, concedendo a quella pausa un’importanza sublime. Perché anche le pause comunicano.

La musica, poi, entra in punta di piedi, con pochi e lunghi accordi, che quasi non si notano, perché il pubblico deve avere tempo di riflettere sui significati del film.

E mentre riflette, nelle pause, c’è solo spazio per una grandiosa fotografia, dai colori caldi, quelli di settembre, che tendono dal rosso all’arancione. È tutto in ordine e pulitissimo, preciso e quasi fermo, come se anche la fotografia concedesse spazio alle pause e aprisse nuovi varchi di pensiero e riflessione.

Her, o Lei, comunica con la forza delle parole e delle immagini, e con il grande potere del silenzio. Comunica quanto siamo fragili, e soli. E che mentre trascorriamo il tempo con gli occhi puntati verso il monitor, sopra di noi c’è un cielo stellato. Solo che ce ne dimentichiamo.

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