Gustave Flaubert

Dizionario dei luoghi comuni

Dovete immaginarvi un ometto baffuto e paffutello che per tutta la vita prende appunti. Scrive, osserva e di tanto in tanto pubblica romanzi epocali. Si appunta ciò che inclina, ferisce e incrina le infinite pieghe della vita. Lui segna tutto sui suoi taccuini. Tutto. Come se le storie e le verità di ogni giorno potessero raccontare una visione universale del mondo, rendendo giustizia – in un modo un po’ buffo – alle cose che accadono senza particolare motivo. Accadono e basta, nessuno sa il perché, ma c’è una legge da tutti condivisa che giustifica mutamento, azioni e percezioni. Una legge. Un luogo comune. Così i suoi taccuini si riempiono di parole e significati, citazioni e credenze popolari che descrivono un’approssimata verità sul mondo, talmente approssimata da essere, talvolta, precisa.

I luoghi comuni sono, in fondo, imprecise descrizioni o imbarazzanti tentativi di spiegare la vita. Flaubert non ha fatto altro che appuntarseli nei suoi diari fino a quando ha giocosamente intuito che poteva raccoglierli tutti in un affilato volume: il Dizionario dei Luoghi Comuni.

Uno strumento per stimolare la creatività

Si tratta chiaramente di un libretto stupido che, a detta di molti critici, gli ha rubato troppo tempo e gli ha impedito di concludere opere di ben altro spessore – come Bouvard e Pecuchét. Tuttavia c’è del genio, e queste cento paginette hanno lo strano potere di spronare la creatività del lettore. Dizionario dei Luoghi Comuni trova il suo habitat nella libreria di un copywriter e diventa uno strumento di lavoro di imprevedibile utilità nei momenti in cui si è alla ricerca di ispirazione.

Riporto qui alcune voci che mi hanno particolarmente colpito:

  • Allori. Impediscono di dormire.
  • Bilancio. Non quadra mai.
  • Calvizie. Sempre precoce e provocata da eccessi giovanili, oppure dal concepire pensieri elevati.
  • Corano. Libro di Maometto che parla solo di donne.
  • Economia politica. Scienza senza cuore.
  • Egoismo. Lagnarsi di quello degli altri e non accorgersi del proprio.
  • Fenice. Bel nome per una compagnia di assicurazioni antincendio.
  • Giuria. Evitare a tutti i costi di farne parte.
  • Introduzione: vocabolo osceno.
  • Metodo. Non serve a nulla.
  • Missionari. Finiscono tutti mangiati o crocifissi.
  • Mulino. Sta benissimo nei paesaggi.
  • Paura: ci dà le ali.
  • Poeta. Sinonimo di scemo, sognatore.
  • Polizia. Ha sempre torto.
  • Prosa. Più facile da fare dei versi.
  • Scroccone. Sempre dell’alta società.
  • Terra. Dire <<I quattro angoli della terra>>, dato che è rotonda.
  • Vangelo. Libro divino, sublime, eccetera.

Nelle spiegazioni dei termini si nota facilmente una pungente dichiarazione di astio nei confronti di qualcuno, forse una precisa fetta di società. In fondo, Flaubert stava sul cavolo a parecchia gente, e temo che il sentimento fosse ampiamente ricambiato. Questo piccolo dizionario, che rappresenta un momento quasi invisibile in mezzo allo spessore delle sue opere più celebri, è un gesto o un modo per zittire, umiliare e mandare a quel paese tutte le persone che non sopportava. O almeno mi piace pensarla così.

In una lettera a Louise Colet, nel 1852, Flaubert descrisse il progetto con queste parole:

Credo che l’insieme sarebbe formidabile come il piombo, bisognerebbe che in tutto il libro non ci fosse una parola mia, e che, una volta letto il dizionario, non si osasse più parlare, per paura di dire spontaneamente una delle frasi che vi si trovano.

È un modo straordinariamente affilato ed elegante per dire “zitti tutti, ignoranti, state zitti”.

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