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Iron Man - logo - lettering design

Le parole non sono solo parole, sono anche immagini. E anche le immagini sono parole. A farla breve, immagini e parole sono la stessa identica cosa. Davvero.

Le parole si muovono, dentro la nostra testa compiono gesti che corrispondono al loro esatto significato. Mentre leggiamo la parola “salto”, ad esempio, immaginiamo effettivamente una sorta di balzo da parte di qualcuno o qualcosa. Ora proviamo a collegare la nostra immaginazione alla parola scritta, facendo compiere un un balzo ad una delle lettere che la compongono.

jump - lettering design

 

L’esercizio che mi piace svolgere con non ordinaria frequenza consiste proprio nello spingere il significato a modificare il significante, e far sì che il senso di una parola ne vada a modificare il segno grafico, i contorni e perché no, anche la fonetica.

Si tratta solo di concentrarsi sulla forma e sul significato di una parola. Certe volte l’immagine che viene evocata può realmente concretizzarsi e modificare la grafia o l’intero visual della parola: è necessario pensare al termine non come un insieme di lettere ma come un incubatore di tratti e segni, modificiabili e sostituibili a nostro piacimento. La parola deve quindi essere “letta” come se fosse un disegno. Perché anche i disegni si leggono.

 

autumn - lettering design
Dal momento che le parole sono immagini nessuno ci vieta di utilizzare i colori nel processo di fusione tra significante e significato. Personalmente preferisco utilizzarli in quantità minime per non appesantire il disegno e non perdere le sembianze originali del testo. L’idea creativa alla base del disegno “Autumn”, come è ovvio, sta nel far cadere le lettere dalla parola come le foglie degli alberi, richiamando così un comune immaginario autunnale.

Lettering design: come si trasforma una parola in un’immagine?

Dicevo prima di non pensare alla parola come un insieme di lettere ma come un incubatore di tratti che possono essere spostati, capovolti e modificati. Prendo in esempio il nome “Titanic”. Quando leggiamo questa parola il nostro cervello esegue una lunga serie di collegamenti mentali, tra questi:

  • una nave che affonda;
  • Leonardo Di Caprio;
  • un iceberg;
  • Kate Winslet;
  • un prezioso gioiello blu;
  • una nave che si spezza in due.

La domanda è: uno di questi collegamenti può essere facilmente rappresentato modificando graficamente le lettere della parola Titanic? Dobbiamo impegnarci a rispondere sempre di si, trovando una soluzione creativa che non alteri il messaggio e che faccia possibilmente sorridere. La mia interpretazione personale è questa, dove l’idea creativa si concentra sulla lettera A che “affonda”.

 

Titanic - lettering design

 

Ok, con un nome così noto è troppo facile? Proviamo allora con quello di una serie TV: X-Files.
Quali collegamenti mi vengono in mente?

  • Due agenti dell’FBI.
  • Gli alieni.
  • UFO e navicelle spaziali.
  • Fenomeni paranormali.
  • I capelli rossi (ora biondi) dell’agente Scully.
  • L’uomo che fuma.

Mi concentro ora sullo stesso ragionamento elaborato per Titanic aggiungendo però qualche colore:

 

X- Files - lettering design

 

Troppo facile anche questa? Proviamo con The Walking Dead?
Dunque, si tratta di un telefilm concentrato sugli zombie che, per definizione, sono morti che camminano. Posso trasformare questo titolo in un titolo-zombie? Ci provo modifico l’ordine di tutte le lettere che compongono il nome:

The Walking Dead - lettering design

 

Ovviamente non è sempre così semplice trovare una composizione creativa. soprattutto con nomi più “anonimi” come nel caso di Quantico. Non sapendo come conciliare i significati della serie TV sugli aspiranti agenti dell’FBI ho pensato alla situazione attuale della serie: al momento è in pausa, i nuovi episodi usciranno in primavera. Quindi in un certo senso si “riaccenderà” il programma, da qui:

 

Quantico

 

Prendiamo ora il nome di un brand che ha fatto discutere non poco negli ultimi mesi, Yamaha. Con lo scontro tra Valentino Rossi e Jorge Lorenzo i tifosi si sono letteralmente divisi in due fazioni e allo stesso tempo gli equilibri interni dell’azienda hanno accusato una bella scossa.

 

Yamaha - lettering design

 

Questo esempio è utile per spiegare che talvolta anche la situazione culturale può incidere sul rapporto tra immagini e parole, significanti e significati.

Provateci voi ora: scegliete il nome di un film, un animale, una stagione dell’anno, un verbo o il nome di un oggetto che portate sempre con voi, e se vi divertite continuate a farlo, così facendo terrete in allenamento la vostra creatività.

Io lo sto svolgendo proprio in questi giorni con “Superheroes: a lettering design project”, dove mi diverto a gicoare con i nomi, i poteri e le caratteristiche dei super eroi di Marvel e DC Comics.

 

Superman - lettering design

 

Seguite l’evoluzione del progetto sulla mia pagina Facebook o nell’apposita board di Pinterest.

come scrivere bene - david ogilvy

Nel diario di un copywriter ci sono appunti di ogni genere, anche insensati. Spesso si tratta di bozze, citazioni, consigli (di altri), disegni (solitamente pessimi), versi di canzoni, scritte indecifrabili che non hanno avuto il dono di incontrare una grafia elegante, idee per ipotetiche startup che non diventeranno mai startup e un mucchio di altre cose più o meno ordinate.

Le mie Moleskine sono piene di tutte queste cose, molte delle quali non attraversano mai l’evoluzione da cartaceo a digitale, ma ce ne sono alcune, come in questo caso, che trascrivo dalla carta a questo blog che è, a tutti gli effetti, un vero diario, proprio come le Moleskine, con la differenza che qui sul web le pagine non ingialliscono.

Da mesi e mesi trascrivo e ritrascrivo i consigli che David Ogilvy consegnò ai dipendenti di Ogilvy & Matther nel 1982. Semplicemente dieci velocissimi consigli. Come se per lui fosse davvero tutto li il segreto per scrivere bene, che di conseguenza significa lavorare meglio.

La traduzione che ho ricavato, tuttavia, non rende giustizia al suono ricercato dall’autore, per cui suggerisco di leggere anche la versione in lingua originale.

Come scrivere bene

Meglio scrivi e più carriera farai in Ogilvy & Mather. Le persone che pensano bene, scrivono bene. Scrivere bene non è una dote innata, bisogna imparare a farlo.
Ecco dieci regole:

  1. Leggi il libro sulla scrittura di Roman e Raphaelson. Leggilo tre volte;
  2. Scrivi come parli, in modo naturale;
  3. Usa parole brevi, frasi brevi, periodi brevi;
  4. Non usare parole come riconcetualizzare, demistificazione, attitudinalmente, giudicante. Sono il marchio di somari presuntuosi;
  5. Non scrivere mai più di due pagine riguardo un argomento;
  6. Controlla le citazioni;
  7. Non inviare mai una lettera o un appunto il giorno stesso in cui li hai scritti. Rileggili ad alta voce il mattino dopo e correggili;
  8. Se è una cosa importante, chiedi aiuto ad un collega per migliorarla;
  9. Priva di inviare la tua lettera o appunto, assicurati che sia assolutamente chiaro quello che vuoi che venga fatto;
  10. Se vuoi che qualcuno faccia qualcosa, non scriverglielo. Alzati e vai a dirglielo.

Non serve un genio per capire che i consigli di David Ogilvy vanno ben oltre lo scrivere ma si concentrano anche sul buon senso e l’educazione di ogni professionista, due concetti fondamentali per la salute di ogni ambiente lavorativo.

appunti di un copywriter

Le pagine delle mie Moleskine sono inzuppate di inchiostro e grafite. Frasi, pensieri, giochi di parole, appunti, nomi, disegni, briefing, esercizi per stimolare la creatività, cose che di solito hanno a che fare con il mio lavoro. Ci sono un sacco di annotazioni che si ripetono, scritte più volte da un taccuino all’altro, cose appuntate una volta, riaffiorate in altri fogli e diventate motivo di una nuova annotazione.

Se mi tornano a balenare nella mente, e le riappunto sul taccuino, dev’essere per un qualche motivo che, di preciso, non saprei descrivere, ma sono convinto, abbastanza convinto, che mi serviranno sempre.

Volevo scriverne un testo in prosa, ma mi rendo conto che è più semplice utilizzare un elenco puntato: riportandole in rispettoso ordine cronologico, ne trovo un senso che spiega il mio modo di operare nel mondo pubblicitario.

Effettivamente non ho mai redatto un manifesto personale, da rispettare e da consigliare a colleghi, clienti, amici o persone che capitano per mille motivi su questo sito o nella mia vita.

Chiamarlo manifesto è fuorviante. Ma di certo non si tratta né di regole né di consigli. Sono, piuttosto, appunti.

Appunti di un copywriter

  1. L’ego va messo da parte, sempre. I clienti non pagano per la tua bravura, pagano per i risultati.
  2. Il copywriter non è un barbaro. Nel senso sociologico del termine (inteso da Baricco nel saggio “I Barbari”).
  3. La creatività non (sempre) paga.
    La creatività non paga (molto).
    La creatività crea valore.
  4. Di umiltà non è mai morto nessuno.
  5. La “regola delle tre carte” non fallisce mai: prezzo basso, qualità, breve tempo. Ogni cliente ne può scegliere solamente due.
  6. La professionalità non passa mai di moda. Come l’etica.
  7. Salvo rarissime eccezioni, i libri che promettono di insegnare a scrivere bene (o in modo creativo, efficace e altri termini simili) non sono utili quanto i romanzi degli autori che sanno scrivere per davvero.
  8. Confessioni di un pubblicitario” è l’unico libro indispensabile. Il resto è tutto bla bla bla.
  9. Le persone che insegnano ad avere successo, hanno successo?
    Altra versione: quelli che insegnano ad avere successo, hanno un portfolio di spessore?
    Altra versione ancora: giacca e cravatta non fanno di te un professionista.
  10. Se non hai mai lavorato con la stampa, smetti di fare quello che stai facendo e lavora con la stampa. Devi toccare la carta, riconoscerne lo spessore, la porosità, l’odore. Devi capire come viene assorbito l’inchiostro e guardare i font deformarsi. Litigare con un art director sulla scelta dei colori e sulla posizione del testo.
  11. Raccontare è meglio di descrivere.
  12. Molte cosa sembrano innocenti, e sono invece visual design.
  13. È sbagliato mettere a confronto la stampa con il web, è giusto, piuttosto, cercarne la relazione.
  14. La storia dell’arte insegna più di un libro didattico.
    Altra versione: Van Gogh era un grande Art Director.
  15. Gli account pensano in modo totalmente differente dal tuo, ma spesso hanno ragione loro.
  16. Ci sono decine di font stupendi, non utilizzare solo Helvetica e Trade Gothic.
  17. Inventa progetti personali di comunicazione, servono a tenere in allenamento il cervello.
  18. Internet ha una memoria migliore della tua.
  19. SEO è una parola che ti farà imbestialire e una disciplina che spesso fa a pugni con la creatività. Eppure c’è, è meglio farsene una ragione e accoglierla, ma senza esagerare. In casi di emergenza rivolgiti ad un esperto SEO (che di solito non è un SEO writer).
  20. Le idee non finiscono mai. A volte sono timide, si mimetizzano, scappano e ti prendono in giro. Stando seduto non le trovi di certo, esci fuori, fai una passeggiata nella natura, di solito si nascondono dietro gli alberi.
  21. Le idee non si riciclano, vanno nell’indifferenziata.
    Altra versione: le idee degli altri sono sempre degli altri.
  22. La pubblicità pulita vince sempre su quella volgare.
    Altra versione: “il bene che c’è nel mondo supera il male, ma non di molto.” (cit. di Zalman Schachter-Shalomi).

Dicevo, sono frasi, bozze, appunti. Niente di più. Si sa mai che tornino utili a qualcuno.

la traduzione dei nomi plurali inglesi in italiano

In questi giorni non si fa altro che parlare di cookie. Cosa sono, a cosa servono, come adeguarsi alla cookie law, eccettera eccetera.

Purtroppo e per fortuna, lavorando nel campo della comunicazione mi son trovato a leggere di tutto e di più sull’argomento, e la cosa che più mi ha colpito, per deformazione professionale, è stato leggere la parola cookie con la S plurale, cookies.

Siccome sono pignolo, secondo alcuni eccessivamente pignolo, ci tengo a chiarire che cookie è un termine inglese ormai d’uso anche nell’italiano tecnico, e come altri nomi inglesi segue una sola regola:

in italiano, i nomi stranieri sono invariabili.

Questa affermazione è testualmente tratta da “Italiano – corso di sopravvivenza” di Massimo Birattari (la Bibbia per chi scrive, e non solo) e come tutte le regole è ricca di eccezioni, soprattutto per lingue come il francese o lo spagnolo, ben evidenziate nel volume. È anche una questione di orecchio, perché frasi come ho comprato due computers fanno davvero venire i brividi. O anche ho parlato con gli art directors, brrr, o ancora i festivals estivi, aiuto! C’è poi chi scrive Ronaldo ha fatto due goals, quando esiste anche l’italiano gol (guai a chi scrivi gols!).

Probabilmente è capitato a tutti di soffermarsi a riflettere sulla questione e di cercare online diverse definizioni. Il consiglio per non sbagliare è sempre quello di utilizzare di più il dizionario e ricordarsi che i nomi inglesi, al plurale, sono sempre invariabili, niente S finale. Punto.

Quindi, tornato alla parola cookie, anche nel caso fossero dieci, venti o centomila, restano sempre cookie, mai cookies.

definizione di marketing

Esistono un sacco di regole per tirare a canestro. Per tirare bene. Che poi ognuno le personalizza a modo suo, si, ma grossomodo tutto si riduce ad una serie di gesti, movimenti e tanta concentrazione. Precisione.

A qualcuno viene naturale, così, prendere la palla in mano e fare canestro senza sapere nulla di tecnica e postura. Nessuna sbavatura, senza neppure toccare il cerchio. Quei tiri che senti unicamente il “flap” della palla in rete. Flap.

Quello è il talento. Potrebbe anche essere una grandissima botta di culo, ma nel 99% dei casi è talento, eccome.

Se ci spostiamo dal campo di pallacanestro a quello della pubblicità, quel centro perfetto, flap, quel tipo di talento, diventa una grande idea.

Una grande idea può venire a chiunque, magari anche per culo. Ma se sono due, tre, dieci o ancora di più, allora chiamale come ti pare ma non è questione di fortuna, non è culo, è talento.

Poi ad un certo punto le idee da sole non bastano più. Sul campo da gioco si incontrano avversari bravi a difendere il canestro e ad oscurarti la visuale, il cerchio non lo vedi più, e anche se non ci capisci niente di postura e tiro hai bisogno di guardare il cerchio, altrimenti dove cavolo tiri. Non è una domanda, dove cavolo tiri.

Questa situazione è parte del gioco della pallacanestro, magari il cerchio non lo vedi sempre, o non lo metti a fuoco come vorresti, ma c’è il tabellone.

Il tabellone è la pubblicità.

Oh si, grande e rettangolare, lo vedi di sicuro appena ne hai bisogno. Ed è molto probabile che da qualunque punto del campo, soprattutto sottorete, quando la prospettiva si fa verticale e i difensori avanti a te coprono spiragli e speranze, è molto probabile che tu veda almeno un angolo del quadrato disegnato dentro al tabellone.

Per una legge affascinante e geometrica, quando ti trovi particolarmente vicino al canestro e lanci la palla all’interno del quadrato, è molto, molto probabile che la palla finisca in rete. Non sarà più un centro perfetto, ma un canestro di sponda, furbo. Niente flap, ma rumori di rimbalzo contro diversi materiali tra cui il ferro del cerchio.

Quindi, se il tabellone è la pubblicità, allora il quadrato del tabellone è il marketing. Non è una cosa che puoi insegnare all’università, no, ma se dovessi spiegare nel modo più semplice cos’è il marketing ad una persona che non ne vuole sapere di inglesismi e paroloni complicati, ecco, a questa persona direi che

il marketing è il quadrato del tabellone da basket.

In una partita di pallacanestro non puoi permetterti di puntare esclusivamente sull’abilità di compiere decine e decine di centri perfetti, è come pensare di cavartela nel mondo della comunicazione solo con delle buone idee.

Per vincere serve sinergia tra il talento e la strategia. Canestri perfetti e altri di rimbalzo contro il tabellone. Questo serve. E anche il gioco di squadra, ovviamente.

Naming 40 years Golf

C’è chi da i numeri e chi i nomi. Di solito, questa seconda eventualità, spetta ai copywriter. Nomi di aziende, di prodotti, di servizi, tutte cose che hanno a che fare con il mondo del commercio e della comunicazione, non della vita privata (nella quale ogni persona decide nomi di cose, oggetti e animali).

Restiamo al copywriter e al naming, la difficoltà è assegnare un nome alle cose, un nome che deve piacere, essere riconosciuto, divertire, convincere, stupire, stuzzicare, rappresentare, descrivere e raccontare, fare cioè quello che è previsto nel briefing.

Non ci sono nomi belli o brutti, ci sono nomi che funzionano o non funzionano.

In pubblicità, i nomi non sono un’opinione. Quello del tuo gatto lo è, quello della tua barca o del tuo peluche lo sono, ma quelle sono cose tue, devono renderti felice, non farti vendere. Questo porta molte persone, solitamente copywriter e altre figure del mondo pubblicitario, a consultare manuali sul naming e post-tutorial sui vari blog online. Il mio personalissimo parere è di saltare tutta questa roba (o almeno un bel 99%), e prendere per le mani un catalogo di un brand di automobili.

Tra i miei preferiti ci sono quelli di Volkswagen, un marchio che quanto a comunicazione ha sempre fatto scelte e pubblicazioni importanti. In una qualsiasi concessionaria o anche online nel sito ufficiale, trovate disponibile 40 years Golf. Ecco, questo è un fantastico raccoglitore di nomi che funzionano: nomi di vernici, di cerchi in lega, di optional, di comandi e tanti altri. Nessuno di questi è dato a caso.

Naming: i nomi di una Golf

Se sei interessato ad una Golf il primo quesito è scegliere il modello:

  1. Trendline;
  2. Comfortline;
  3. Highline.

Trendline è il modello base, ma è chiaro che chiamandolo “modello base” indebolirebbe il prodotto, per cui la parola trend, che richiama la tendenza, la moda e l’attualità, è qualcosa che ci fa sentire al passo con i tempi. Chiaro che Comfortline racconta qualcosa in più, qualcosa che ha a che fare con la comodità, e questo nome giustifica l’aumento di prezzo rispetto al modello Trendline. È abbastanza intuitivo capire che Highline è il top di gamma, qualcosa che evoca l’idea di grandezza, di plus.

Nomi delle vernici

Scelto il modello si passa alla vernice della carrozzeria, e qui Volkswagen è davvero creativa. Il colore più economico è un grigio scuro non metalizzato, l’unico a costo zero (compreso nel prezzo dell’autovettura). Se si fosse chiamato Grigio Scuro, o Grigio Basico, o appunto Grigio Scuro non Metallizato, l’acquirente non avrebbe percepito alcun valore ma, al contrario, avrebbe percepito una mancanza, una debolezza. Per questo, il nero economico di Volkswagen si chiama Grigio Urano. Quindi uno si può scegliere il modello base di Golf con il colore base senza vergognarsi di aver speso poco, perché ha comprato un’auto che fa tendenza dal colore grigio urano. Volkswagen è bravissima a coprire il senso di vergogna e a stimolare la percezione del valore, fattori che incidono non poco nel mercato dell’automobile.

Il grigio di qualità superiore si chiama Argento Riflesso, non male l’idea di chiamare argento una trama del grigio (non è forse più prezioso?). Un’altra variante più moderna della trama grigia è il nuovissimo Tungsten Silver, in cui gli inglesismi danno più forza al nome: Silver è più aggressivo di argento, mentre tungsten evoca qualcosa di futuristico (gli italiani ci cascano subito, anche il sottoscritto).

La vernice bianca si divide invece in Pure White e Oryx White Perla, non serve un genio per capire che il Pure White è un bel bianco, ma l’Oryx White Perla ha decisamente qualcosa in più (è infatti la verniciatura più costosa disponibile per una Golf).

Nomi dei cerchi

Il naming dei cerchi in lega, che prevede la scelta di nomi di città, evoca invece un’idea di stile e ricerca: Dover, Toronto, Perth, Geneva, Dijon, Madrid e il più costoso Durban.

Si potrebbe andare avanti per ore, citando ad esempio i rivestimenti in tessuto dei sedili, tra i quali troviamo nomi accattivanti come Pepper, Zoom/Merlin e Alcantara per indicare il tipo di tessuto, mentre per il colore sono stati scelti nomi come Nero Titanio per la trama nera, Shetland per quella beige, Quarzite per quella grigio-nero. Il nome Vienna, invece, indica la linea di rivestimenti in pelle che, a seconda dei colori, nero, marrone e beige, si dirama in tre possibili scelte cromatiche Nero Titanio, Marrakech e Shetland.

Come dicevo, si potrebbe andare avanti per ore.
La lettura in chiave pubblicitaria di un catalogo automobilistico vale molto più dello studio di molti manuali-fuffa. Questa cosa me la disse anche un brillante docente di Costruzione del Messaggio Pubblicitario ai tempi dell’università:

i libri che promettono di insegnare a diventare creativi, a scrivere bene e a persuadere le persone, sono tutti un lungo bla bla bla.

Ho ancora l’appunto scritto a mano sulla mia Moleskine del 2009.

Le cose comunicano, anche le più banali. Solo che non ce ne accorgiamo. Eppure c’è sempre un motivo se sono progettate in un certo modo. Un manifesto pubblicitario, la carta di identità, la sigla di Dexter, solitamente passano inosservate, e invece sono visual design. Ovvero, sono fatte in un certo modo perché devono comunicare una cosa precisa.

Prendiamo la mappa del mondo, ad esempio. Per convenzione, tutte le cartine hanno il continente americano a sinistra, l’Europa al centro e l’Asia a destra. Questa disposizione non è affatto casuale. La Terra è tonda, e quindi una cartina potrebbe iniziare anche con l’Europa a sinistra, l’Asia al centro e l’America a destra. Ma in giro non se ne trovano. Perché? Continua a leggere

Valentino Rossi fan club

Per la prima volta nella mia vita ho visto vincere Valentino Rossi. Dico con i miei occhi, salire sul gradino più alto del podio e inginocchiarsi davanti al pubblico di Misano. Inginocchiarsi. Mica poco.

Quel gesto è il riassunto di tutta la sua carriera, e al di là di chi lo ama, chi lo odia o chi ne rimane indifferente, al di là di tutto questo c’è una cosa di cui fare tesoro: la professionalità. Continua a leggere