I marciapiedi sembrano campi minati, la gente li attraversa guardando a terra per evitare di pestarla, come se ci fosse merda dappertutto. Sembra una metafora pessimista del presente. Per fortuna, il problema non sono le cacche, ma gli smartphone. Precisamente, l’iPhone. Quelli che camminano a testa bassa, lo fanno o perché stanno attenti alle mine o perché hanno gli occhi incollati sull’iPhone. Prima di comprarlo ero il primo a criticare i passanti armati del telefono Apple. E adesso cammino a testa bassa pure io, o magari con la fotocamera puntata sulla città, pronto a colpirla dal suo interno e riempire i social network con scatti e fotogrammi.
Il mondo gira dentro alle fotografie, photo sharing, si trasforma in una lunga passeggiata in tutti i viali e tutti i mari, i porti e parchi naturali, i laghi e le cascate. Il mondo corre in questo campo da gioco, le persone sparano, lo colpiscono, bucano forano ma non lo feriscono, ne strappano zolle e ne mostrano ogni segreto, photo-sharing. E tutti i posti bellissimi sono visibili a tutti, e magari son meno belli perché già visti, o più ricercati, dipende dai punti di vista. La vista, con gli occhi verso orizzonti reali. Reali, niente schermi e niente trucchi, senza filtri, e l’unico sharing è quello del vento che condivide ogni profumo dei posti che attraversa. Il vento, e la vista, e l’odore. A sforzarsi si riesce a sentire anche il gusto.
Ed ecco allora la vera differenza tra le due cose, tra il vento e lo schermo. Perché c’è gente che gira il mondo, a testa bassa o con l’iPhone puntato, gira il mondo e colpisce ogni suo segreto, ogni posto e paese, gente che attraversa le magie di Londra e New York ma poi si perde nei sentieri della propria anima.
Foto scattata, ovviamente, con l’iPhone.