Franco il caffè lo serve solo nel vetro, in tazzine senza manico. A forma cilindrica, con il cerchio della base più stretto della bocca su cui si appoggiano le labbra, somigliano ad un tamponamento tra un cono ed un cilindro, trasparenti. L’istinto porta a sollevarle sempre con due o tre dita, il pollice, l’indice e talvolta il medio, come per ogni altra tazzina con il manico. Il caffè di Franco, bollente, scalda la superficie di vetro, e non tutti i clienti apprezzano particolarmente trattenere con due dita un oggetto rovente. Perché il vetro reagisce in un modo più accogliente al calore, rispetto alla fredda stitichezza della ceramica. Il caffè, al Circolo Kappa, si beve solo in questo modo.
Lara Loire rimase qualche istante a fissare la tazzina di vetro senza manico. Tutti fissavano Lara Loire senza sapere nulla di lei. Nessuno parlava, solo il rumore del mondo fuori che entrava attutito dal varco della porta, spalancata, verso l’interno. Nessuno parlava e nessuno parlò. Tutti gli uomini presenti al Circolo Kappa guardarono il modo, il gesto, di posare la borsetta viola sullo sgabello a lei più vicino, e le sue mani, piene di dettagli invisibili, che modellavano l’aria innalzandosi verso la tazzina. Lara Loire sollevò la tazzina con otto dita. Otto. Lasciò liberi i mignoli, un po’ per dolcezza, un po’ per inutilità, con otto dita accompagnò la tazzina di vetro sino alla bocca. Chiuse gli occhi mentre le prime lacrime di caffè le scivolavano sulla lingua, scaldando prima la gola poi l’anima. Quando riaprì gli occhi la tazzina era ancora imprigionata tra le sue dita senza smalto e le sue labbra senza rossetto. Silenzio. Lara Loire appoggiò la tazzina con le sue otto dita sul vetro e i due mignoli che scodinzolavano nell’aria come le gambe dei bambini seduti sugli sgabelli, troppo alti, di un bar. Richiuse gli occhi, come per concentrarsi, fece un lungo respiro e li riaprì pieni di luce e bagliori. Sorrise, con un sorriso che non si può raccontare, gli occhi quasi lucidi, come se una lacrima, una sola, li avesse inumiditi quel tanto che basta per rafforzare luci e riflessi, e la bocca, stretta e carnosa, chiusa con gli spigoli d’incontro tra il labbro inferiore e quello superiore alzati verso l’arco, che disegnano un piccolo arco, uno spicchio di luna, sul viso. Il sorriso di Lara Loire.
Piena di una felicità nuova, lei non smise di tenere sotto tiro lo sguardo del barista mentre gli diceva non so se è per via del vetro, ma non credo, ma questo caffè risveglia una cosa, ogni cosa, del corpo, come dire.
Grazie, lo so.
Ah beh, modesto.
No, nel senso, io il caffè lo faccio buono, e basta, non c’è molto da aggiungere, diversamente non lo so fare.
Ah d’accordo.
D’accordo.
Non le è mai venuto un caffè cattivo?
No.
Mai?
Forse il primo, il primo in assoluto, e magari il secondo.
E basta?
E basta.
E basta.