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Il dizionario dei sinonimi e contrari è un’arma pericolosa, ricco di munizioni, idee e parole in grado si salvarci da noiose ripetizioni, ma pieno zeppo, pure, di trappole e mine nascoste tra le parole. Servono esperienza e attenzione per scovarle e per disinnescarle. È che a pensarci con un pizzico di pignoleria e di amore per significati e significanti, i sinonimi non sono mai abbastanza sinonimi. Sono finti amici. Non dobbiamo cercarli a tutti i costi, sarebbe come cercare una persona identica a noi stessi, non c’è e non ci sarà mai. Simile, magari, con certe qualità e somiglianze, può darsi, ma mai identica. Allo stesso modo, i veri sinonimi non esistono. C’è sempre una minima differenza, talvolta sottile e apparente come tra assicurare e rassicurare (che si costruiscono e si usano in modi differenti), o anche tra polpo e polipo (si pensi al significato in medicina di quest’ultimo). Non è dunque sufficiente sceglierli con cura, ma è necessario cercarne il significato e l’origine, approfittando di tutte le informazioni incastonate nel dizionario di italiano e in quello etimologico.

Tornando invece alla ricerca di un sinonimo di noi stessi, una sorta di gemello fisico e spirituale, esiste uno strumento che ci viene in soccorso, Facebook, sul quale vale sempre la stessa regola: per quanto evidenti e apparenti siano le analogie e le affinità, andando a scavare in profondità si scoprono sempre, con una precisione matematica, acute e disarmanti differenze. Viene da pensare che bisogna fidarsi molto di più dei sentimenti e delle intuizioni (della propria cultura e della propria anima) che di quelle guide che dovrebbero facilitarci il vivere e lo scrivere.

Scrivere è una piacevole abitudine e trascurarne il gesto è come strappare via un tasto da un pianoforte.

Suonaci ora, sul quel pianoforte, che non è di quelli antichi, in cui il tasto mancante è un elegante segno di antiquariato. Devi suonarci ora, su quel pianoforte moderno e luccicante, privo di un tasto, mettiamo che sia un re diesis, stai tranquillo che presto o tardi ti capita, anche nel più banale degli spartiti.

Da quando sono stati introdotti i software di dettato negli smartphone, come Siri, si tende a scrivere un po’ meno. Basta dettare o anche dare un ordine vocale e il telefono esegue con tiepida precisione. Effettivamente è una grande tecnologia, un superamento del brevetto QWERTY di Christopher Sholes. Io detto, lui scrive. A pensare quante macchine per scrivere deve avere consumato Sholes per trovare il giusto ordine delle lettere sulla tastiera mi viene la febbre.

Ma gli inventori e gli ingegneri hanno il compito di facilitare e velocizzare ogni azione, e l’unico prezzo da pagare, nel tempo, è la perdita del gesto, in questo caso del sedersi con i gomiti sul tavolo e iniziare a scrivere, con carta e penna o monitor e tastiera. Quei gesti li. Io parlo lui scrive, non c’è nemmeno più bisogno di appoggiare i gomiti. Poi però lo voglio vedere nelle ore notturne, quando in casa tutti dormono e io scrivo, no cioè parlo e lui scrive, ma non posso far baccano e detto sottovoce, capirà?
Si perdono i gesti, come il posare la puntina sul disco, o il rumore dei polpastrelli che nella fioca luce della abat-jour martellano sui morbidi rilievi della tastiera. E ci si ritrova a suonare su pianoforti senza un re diesis, che quando serve, non c’è.

Per scrivere un post di 140 caratteri bisogna trovare 140 caratteri perfetti che insieme raccontano una storia breve ridotta all’essenziale.

Ridurre una storia all’essenziale significa sgrassarla da tutte quelle finezze lessicali che creano uno stile e danno un ritmo alla lettura.

Spaziature e punteggiatura sono caratteri. In questa frase ci sono nove spazi e un punto. Quindi vanno dosati sia i caratteri che le parole.

I più bravi, possono provare ad aggiungere virgole, punti e punti e virgola; basta fare attenzione a non farcire eccessivamente un concetto.

Poi c’è la delicata questione dei link, delle immagini e degli hashtag, che riducono parecchio il numero di caratteri a nostra disposizione.

Per ogni hashtag bisogna inserire un cancelletto, con il segno #, e quest’azione ruba un carattere. Troppi hashtag sono graficamente brutti.

La differenza tra Twitter e Facebook è la stessa che c’è tra Led Zeppelin e Deep Purple: tutta questione di stile, eleganza ed egocentrismo.