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Evocazioni orientali, blues, raggae e rock. Con l’arroganza di Jagger e il soul di Joss Stone. Tutta robaccia da musicisti seri che coesiste in un modo tiepidamente favoloso. SuperHeavy, titolo e artwork da disco heavy metal, e invece, la tracklist scorre lungo il fiume di note di Joss, attraversando atmosfere orientali e il groove del centro America. Dopo l’ascolto rimane un casino in testa che ricorda la bellezza di tutta la musica del mondo, nei suoi colori, suoni e dimensioni. Suona così, SuperHeavy, come il disco del mondo. Lo stesso che Rolling Stone cestina come un album privo di creatività. Punti di vista. Qui ce ne sono tanti, uno per ogni paese del pianeta, uno per ogni genere musicale. Dipende da come sai fartene tesoro, da quanto ti diverti a ballare le sue melodie e con quanta gentilezza rivolgi l’orecchio ai coni dello stereo. E da come misuri la musica, tutta la musica.
In life what you treasure, joy and pleasure it depends on how you measure.

In quelle sere che non so dove sbattere la testa, e i pensieri aprono un varco nel cranio e scappano come mosche, nel buio di una stanza senza lampadine accese. In quelle sere, che non c’è musica che giustifica il mio malumore, non c’è voce che solleva le preoccupazioni, o un testo nel quale mi riconosco, in quelle sere così, mi sono innamorato di LeAnn Rimes. In quelle sere, perché non è una sola, ma un susseguirsi di bui che collegano la notte al mattino, il sonno non mi è amico, e la musica sembra non essere più il giusto sedativo, la terapia perfetta, in quelle mille notti così, la voce di LeAnn mi ha toccato il cuore. La voce e il suo mood, il groove, il tono, e il suono, e il vibrato, e anche le pause, i silenzi. Non è questione di rime o versi particolarmente poetici, è un suono, un atteggiamento nell’affrontare certe note, e concedere loro la giusta importanza. Come calibrare il giusto suono per ogni nota, e far sentire anche il respiro, il respiro prima di cantare.

Non te ne accorgi in una notte sola di queste cose, puoi ascoltare cento volte consecutive lo stesso disco ma non lo capisci davvero finché non lo sorbisci a gocce lente, dense, e distanti. Distanti notti intere, sere disperate in cui tutta la musica di cui hai memoria non pronuncia i suoni giusti – i suoni. E non c’è una voce migliore di altre, penso che ognuno abbia la sua, e la mia, quella che mi salva, è di LeAnn Rimes. È un rendere giustizia ad ogni nota di una canzone, di un disco, di un momento preciso della vita, che poi sono la stessa identica cosa.

Ascoltare per impregnarmi del suo gusto, il carattere, l’intonazione e l’intensità, come guardarla negli occhi restando ad occhi chiusi, sfiorare con la mia paura il suo dono, come se fosse l’unica salvezza dell’anima, nelle notti senza neon e lampadine, senza i colori, se non quelli della voce di LeAnn Rimes. Quella voce racconta non quello che voglio sentire, ma quanto di più intenso io riesca ad assorbire dal tramonto e dalla nostalgia, che poi sono, effettivamente, la stessa identica cosa.

Neanche finito di leggere MrGwyn ed ecco una nuova pubblicazione di Alessandro Baricco. Tra le pagine “del romanzo con le lampadine” avevo intuito che i conti non tornavano, che c’era qualcosa che, effettivamente, mancava. Come se Baricco non ce la volesse raccontare tutta. Proprio nel finale, pazzesco, c’era questo titolo che si ripeteva in continuazione, Tre volte all’alba. Una ripetizione ridondante che doveva chiarire questa mancanza che il lettore percepisce  sempre più pagina dopo pagina. Tre volte all’alba, che, stando alla storia narrata in MrGwyn, è il titolo di un libro scritto da uno scrittore “mascherato”. Un titolo che esiste nella storia ed ora, magicamente – marketing, ad essere precisi – è realtà. Un libro raccontato è ora un libro reale. Che tutti possono leggere.

Io ne parlo e ancora non ce l’ho tra le mani. E ho una voglia pazzesca di leggerlo. So già che mi piacerà da morire. Senza averne letta la trama so già di cosa parlerà: del gesto, stupendo, dello scrivere. Precisamente, del gesto di Alessandro Baricco.

Allora sollevò lo sguardo da quelle righe e capì che tutti i ritratti fatti da Jasper Gwyn sarebero rimasti nascosti, come lui aveva desiderato, ma due lo avrebbero fatto in modo singolare, girando per il mondo cuciti segretamente nelle pagine dei libri. Uno lo conosceva molto bene, ed era il suo. L’altro l’aveva appena riconosciuto ed era il ritratto che qualsiasi pittore prima o poi prova fare – quello a se stesso. Da lontano, le parve, si guardavano, una spanna sopra tutti gli altri. Adesso sì, pensò – adesso è come non avevo mai smesso di immaginarla. – MrGwyn, A. Baricco

L’ho incontrato una volta sola, Alessandro Baricco, in un bar qualunque, mi piace pensare sia stato un caso. È successo un paio d’anni fa, a Cattolica, e alla domanda faresti una foto con me?, ha negato di essere sé stesso. Come se quel pomeriggio non gli andasse di essere Alessandro Baricco. L’ho odiato. E pensare che i suoi libri spiccano tutti nella mia libreria, li tengo accanto a quelli che mi hanno lasciato qualcosa, accanto a McCarthy, per rendere l’idea. M’ero anche promesso di non comprare più nulla di suo. Tuttavia la delusione dell’incontro non ha inciso sull’ammirazione dello stile. Pochi giorni fa, a denti stretti e con ancora un velo di rabbia addosso, ho comprato Mr Gwyn. Un’amico mi ha letto una frase, una sola, che mi ha condannato all’acquisto:

Ogni tanto qualcuno lo riconosceva, e allora lui negava di essere chi era.

Boom. È stronzo e non lo nasconde, ho pensato. Poi però, con una precisa riflessione, ho cominciato a pensare ad una sorta di perdono. Ecco dunque Mr Gwyn tra le mie mani.

Il protagonista è davvero pazzesco, conquista per la sua visione dell’arte e delle piccole cose, per il suo nascondersi dai riflettori e per i gesti, incredibili, e i dialoghi, assurdi. Un personaggio talmente gustoso che a metà libro scompare. Basta, da metà libro in poi non c’è più. Come se fosse fisicamente scappato dalle pagine. È come le cose di cui ci si innamora, quelle che a un certo punto della vita scompaiono e non tornano più. Lui passa la staffetta ad uno splendido personaggio femminile, Rebecca, una sorta di Lisbeth Salander ma più dolce, e più grassa. Mr Gwyn è un romanzo (breve) che riassume la carriera dell’autore, con personaggi curiosi come quelli di Castelli di Rabbia e Oceano Mare, la sottile drammaticità di Emmaus e le dinamiche di City. Pazzesco e perfetto, non ci sono altri aggettivi.

Nella cura dei dettagli trovava immediato sollievo. Questo lo portava, alle volte, a raggiungere vette di perfezionismo quasi letterario. Gli accadde, ad esempio, di trovarsi davanti a un artigiano che faceva lampadine. Non lampade: lampadine. Le faceva a mano. Era un vecchietto con un lugubre laboratorio dalle parti di Camden Town. Jesper Gwyn l’aveva a lungo cercato, senza neppure sapere se esistesse, e alla fine l’aveva trovato. Quello che aveva in mente di chiedergli non era soltanto una luce molto particolare – infantile, avrebbe spiegato – ma soprattutto una luce che durasse un certo tempo determinato. Voleva lampadine che morissero dopo trentadue giorni di funzionamento.
– Di colpo, o agonizzando un po’?, chiese il vecchietto, come se conoscesse a fondo il problema.