Storia e realtà, da MrGwyn a Tre volte all’alba.
Neanche finito di leggere MrGwyn ed ecco una nuova pubblicazione di Alessandro Baricco. Tra le pagine “del romanzo con le lampadine” avevo intuito che i conti non tornavano, che c’era qualcosa che, effettivamente, mancava. Come se Baricco non ce la volesse raccontare tutta. Proprio nel finale, pazzesco, c’era questo titolo che si ripeteva in continuazione, Tre volte all’alba. Una ripetizione ridondante che doveva chiarire questa mancanza che il lettore percepisce sempre più pagina dopo pagina. Tre volte all’alba, che, stando alla storia narrata in MrGwyn, è il titolo di un libro scritto da uno scrittore “mascherato”. Un titolo che esiste nella storia ed ora, magicamente – marketing, ad essere precisi – è realtà. Un libro raccontato è ora un libro reale. Che tutti possono leggere.
Io ne parlo e ancora non ce l’ho tra le mani. E ho una voglia pazzesca di leggerlo. So già che mi piacerà da morire. Senza averne letta la trama so già di cosa parlerà: del gesto, stupendo, dello scrivere. Precisamente, del gesto di Alessandro Baricco.
Allora sollevò lo sguardo da quelle righe e capì che tutti i ritratti fatti da Jasper Gwyn sarebero rimasti nascosti, come lui aveva desiderato, ma due lo avrebbero fatto in modo singolare, girando per il mondo cuciti segretamente nelle pagine dei libri. Uno lo conosceva molto bene, ed era il suo. L’altro l’aveva appena riconosciuto ed era il ritratto che qualsiasi pittore prima o poi prova fare – quello a se stesso. Da lontano, le parve, si guardavano, una spanna sopra tutti gli altri. Adesso sì, pensò – adesso è come non avevo mai smesso di immaginarla. – MrGwyn, A. Baricco
A me Baricco ha sempre fatto girare un po’ il cazzo, anche se ha ragione: tempo fa ad un incontro diceva (se ho ben capito) che spesse volte cerchiamo una giustificazione all’atto dello scrivere, che è un piacere animale. Ma proprio perché ce ne vergogniamo, di questo piacere animale, tendiamo ad innalzarlo cercando di trovare in esso una morale, un ‘qualcosa’ in più che lo giustifichi, come un’idea, un fine, un messaggio da portare. Questo suo discorso ha messo in pace il mio cervello e dovrei ringraziarlo, però continua a farmi girare un po’ il cazzo, perché temo che discorsi simili giustifichino un po’ (almeno un po’!) la falsità che alcune persone hanno nello scrivere. Non lo so, forse sono io che cerco come dice B. di dare ‘più senso’ a quello che scrivo, e dovrei solo limitarmi a godere del piacere animale che quest’atto mi dà – ma ad esempio leggere parole inventate riguardo sentimenti scritti da uno scrittore che questi sentimenti mai li ha provati, non sarebbe un po’ come ascoltare chessò, una canzone rap sul ghetto e sulla strada da un cantante che ha sempre vissuto in una realtà totalmente differente?
un po’ come la canzone di Emma a Sanremo, che parla di 50enni senza lavoro?? ‘cazzo ne può sapere lei??
si, mi trovo a concordare con quello che dici, però B. mi piace, anche se l’unica volta che l’ho incontrato gli avrei dato fuoco…
Questa faccenda del piacere animale è pazzesca, se mi ci metto a pensare non riesco mai a trovare una risposta precisa, o una giustificazione + o meno sensata, al gesto dello scrivere…
La libertà di scrittura un tempo era censurata in praticamente tutto il mondo, e c’è chi ha sacrificato la propria vita per riprendersi questo diritto! Se sostiene che è solo un piacere animale, come le necessità di mangiare dormire e accoppiarsi, sarebbe morto anche lui per riavere una libertà simile? La sua capacità di scrittura è direttamente proporzionale alla sua ipocrisia!