Hospitality Day è un evento dedicato al settore alberghiero e della ristorazione, e tra le sale del Palacongressi di Rimini girano, appunto, albergatori, ristoratori, responsabili marketing, social media manager, web agency e altre aziende che vivono grazie al turismo. Tutte queste realtà hanno bisogno le une delle altre, si completano e si arricchiscono a vicenda. Ad alimentare questa macchina sono, ovviamente, i turisti. Uomini, donne, famiglie, gruppi di amici e di amiche che, viaggiando, tengono in piedi tutta la baracca.
Per farla scricchiolare il meno possibile, ci sono molti aspetti da considerare, curare, alimentare. Tra i tanti, l’unico in cui penso di poter dire la mia con cognizione di causa riguarda la comunicazione.
Ho subito tirato in ballo uno dei concetti che molti guru-consulenti spacciano per grande verità nelle loro guro-consulenze: “è importante capire come parla il nostro pubblico, è importante conoscere a fondo il target e partire da questa base per costruire la nostra comunicazione e bla bla bla”. Anche a me hanno insegnato una cosa del genere all’università. Mi chiedo quanto sia realmente applicabile, oggi, e quanto sia utile per i brand.
Io con il turismo non ci lavoro chissà quanto, manco il 10% del mio fatturato, ma credo che una comunicazione personale, originale e creativa porti risultati pure qui. O meglio: nella mia carriera da copywriter non ho mai incontrato un caso in cui una comunicazione originale funzionasse peggio di una comunicazione tiepida, apatica e già vista.
Molte volte mi è stato chiesto, anche da hotel e ristoranti, di riprogettare il loro brand e il loro tono di voce “in modo più creativo”. Quel modo più creativo qualche volta non è stato accettato, forse perché non sono stato abbastanza capace, o forse perché certe persone hanno paura dei cambiamenti. A volte hanno paura anche solo di cambiare un solo aggettivo in un testo della home page, figuriamoci cambiare titoli, call to action o l’intera comunicazione scritta, per non parlare di quella visiva.
Succede, a me è capitato soprattutto con gli albergatori, gli stessi che giustificano la “troppa creatività” con queste frasi:
- il pubblico non capirebbe;
- il mio target è terra-terra;
- questa comunicazione funziona per i grandi brand, non per la mia piccola attività.
Come se la colpa fosse del pubblico o delle dimensioni dell’azienda, non di una comunicazione debole. La paura di cambiare è giusta e indispensabile, altrimenti non si tratterebbe di un cambiamento, come ricordano anche i Subsonica. Ma fidati:
le cose che al pubblico non piacciono te le ritrovi tutte nelle recensioni online. E tra queste, quante criticano la comunicazione troppo creativa dell’hotel?
Al massimo, e giustamente, la comunicazione viene criticata quando è falsa, fuorviante, ingannevole, non quando è originale.
Nella pratica, come si mette in atto questo cambiamento? E cosa deve raccontare un brand? Serve audacia per rispondere a queste domande.