Scrittura audace a Hospitality Day

Lo scorso 8 ottobre ho tenuto un talk in una delle sale di Hospitality Day. Avevo trenta minuti a disposizione per dire qualcosa di utile, così sono partito subito con una provocazione. Questa:

Ci hanno insegnato che dobbiamo usare lo stesso linguaggio del nostro pubblico. E se non fosse davvero così?

[La slide del “metallaro”, persona che alle superiori in tanti hanno preso in giro, ma era la più audace nel mostrare i propri interessi. PS: l’immagine è stata creata con Midjourney.]

Compiacere al pubblico, no grazie.

Credo fortemente che sia necessario passare da una comunicazione tiepida ad una più personale. È la lezione che ci ha insegnato questo primo quarto di secolo. La comunicazione personale parla di noi (e di chi altro sennò?), di quello che amiamo e come interpretiamo il mondo.

Ho motivato questo pensiero portando come esempi la comunicazione di tre brand che conosco bene: il mio e quello di due miei clienti. Troppo autoreferenziale come scelta? Può darsi, ma preferisco parlare di progetti che conosco a fondo e a cui ho lavorato invece che riempire le slide con esempi fatui dei soliti Apple, Netflix e altri marchi lontani anni luce dalla realtà che viviamo.

Ho parlato di me e del fatto che la mia comunicazione è piena di roba nerd, scritta con il mio tono di voce che è lo stesso che uso quando parlo. Tra come scrivo e come parlo non ci sono differenze, parolacce comprese. E quello di cui scrivo e parlo è solitamente quello che piace a me: luoghi e oggetti che mi incuriosiscono, libri di ogni genere, musica, comunicazione non convenzionale, persone che ai miei occhi compiono gesta straordinarie e gesti ammirevoli. Non scrivo quasi mai di argomenti in tendenza perché non mi piacciono granché. Al massimo ci faccio dell’ironia. E il mio pubblico lo sa. Il mio pubblico è formato da persone che condividono le mie stesse passioni, curiosità, link e cultura su certi argomenti. Quindi lo scopo della mia comunicazione non è “raggiungere più persone”, ma “farmi apprezzare dalle poche che hanno i miei stessi gusti”. Il cerchio si stringe tantissimo, ma lì dentro c’è il mio posizionamento. La mia salvezza. Se hai una community non resterai mai senza lavoro.

In questa community ci sono possibili clienti? Eccome! Sono quelli che mi scelgono perché si sentono in sintonia con me, e viceversa. In questo cerchio ci sono persone che mi somigliano, e proprio per questo mi scelgono.

[Una delle scritte di benvenuto sullo specchio della camera, realizzata da Roberta Nubile, social media specialist freelance e hotel front uffice supervisor per Best Western Hotel Madison Milano. La ragazza allo specchio è la bravissima Valentina Vellucci.]

Ora portiamo tutto questo all’esterno, in un’altra azienda, anche più grande. Magari un hotel. Facciamo in modo che la cultura aziendale, i gusti e le manie (quelle sane) dei responsabili del brand vengano trasmessi e condivisi in ogni cosa: dalla comunicazione digitale all’arredo, dalle offerte ai servizi, fino all’outfit del personale e alla comunicazione offline (segnaporta, biglietti lasciati in camera, scritte di benvenuto personalizzate sullo specchio della camera). Non temere che non piacerà a qualcuno perché di sicuro a qualcuno non piacerà. È meglio se ti metti subito il cuore in pace. Tutto il resto, sarà pura comunicazione audace.

Di questo ho parlato all’Hospitality Day 2024, e qui trovi le slide. 
Spoiler: quello nella slide 25, a sinistra, sono io. Giuro.