Sul palco del TEDx

È incredibile come certe esperienze della vita, seminate e abbandonate nelle pieghe del tempo e della quotidianità, riappaiano all’improvviso facendoti sentire vergognosamente superficiale. Questa è la prima cosa che ho pensato quando l’amico Antonino Di Gregorio, in un bar di Pesaro, mi ha chiesto se l’idea di salire sul palco del TEDx che stava organizzando. Il primo TEDx a Pesaro, chiamato per l’occasione TEDx Pantano (mi ha spiegato, Antonino, che se decidi di creare un TEDx, per la data zero non si può usare il nome della città, cosa singolare, ma a quanto pare inevitabile).

Io e Antonino ci siamo conosciuti in tempi non sospetti, lui aveva una libreria, io compravo romanzi. Roba di quindici anni fa, forse di più, ma non importa questo. Importa piuttosto quanto ci siamo separati negli anni, come entrambi abbiamo preso percorsi differenti e ci siamo fatti una vita. Ognuno la sua. Giusto qualche breve conversazione su LinkedIn di tanto in tanto. Niente di più.

Poi un suo messaggio – sempre su LinkedIn -, poco prima di Natale, mi chiedeva un incontro per una chiacchierata più che informale, cosa che ho accettato con piacere, poi ho dato pacco pochi giorni prima, preso dalle scadenze e dalla pressione generale del lavoro. L’ho snobbato in pieno. E pensare che voleva proprio parlarmi del TEDx che stava organizzando.

Sono trascorsi altri due mesi prima che riuscissimo finalmente a incontrarci in un bar di Pesaro. Non mi aveva affatto accennato di stare organizzando un evento, ma si dimostrava parecchio interessato ai talk che tengo di tanto in tanto in giro per l’Italia. “Di cosa parli di solito?”, “Quanto durano in media i tuoi interventi?”, domande del genere fino alla più anomala “riusciresti a tenere un discorso di 18 minuti?”. A quel punto non c’è molto da aggiungere: o la capisci o non la capisci. Io non l’ho capita. Ho dovuto tirarglielo proprio fuori quell’invito. Mi ha dunque raccontato della squadra di lavoro, delle persone coinvolte, degli altri speaker papabili, eccetera eccetra, e poi via, una stretta di mano e un “ci rivediamo in teatro”.