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Letto e salvato

Alla fine vincono i libri. E mi auguro continuino a farlo. Lo spero. Perché i 140 famosi caratteri che Twitter mette a disposizione hanno innescato un nuovo processo, irreversibile, verso la sinteticità. E magari non si scriverà più, fra qualche anno. O invece si scriverà molto di più. Preferisco questa eventualità. Ad ogni modo ci sono più cose in ballo, tra realtà, media, pensieri, possibilità. E in tutto questo caos credo che i libri, alla fine, la scamperanno sempre. In qualche modo, si salveranno, e magari salveranno noi. Dopo aver letto Storia d’Amore Vera e Supertriste di Gary Shteyngart ho pensato proprio a questa cosa qui. Se le storie, i racconti e la poesia continueranno ad impregnare i fogli bianchi. Se i libri manterranno il passo con le realtà virtuali. Se ci sarà ancora spazio per i Romeo e Giulietta. Ok Facebook, ok Twitter. Ok la dittatura delle abbreviazioni. Messaggi ai limiti dell’analfabetismo. Messaggi veloci e sempre più brevi, minimali e sintetici. Che non si sciolgono in versi lunghi e gonfi di immagini, che non s’impossessano della nostra mente e non ci fanno ammalare di letteratura come è accaduto a Bobby Long. Lo conoscete, Bobby Long? Ecco, Lenny Abramov, protagonista di Storia d’Amore Vera e Supertriste è proprio come l’attore interpretato da John Travolta, solo in un’altra epoca. Più o meno fra un paio di generazioni, quando gli Stati Uniti saranno succubi dell’economia cinese, e i romanzi quasi dimenticati. Lenny ama Eunice come solo nei libri si può amare. E i suoi squarci poetici lo salvano dalla confusione di tutte le sintesi verbali che riempiono le città. Lenny è l’ultimo uomo vivente che tiene un diario segreto, fatto di carta e inchiostro. Mica un blog. Un diario, rilegato e fatto di pagine vere, che ingialliscono e si toccano. Una cosa davvero magnifica, e romantica, e supertriste.

Carissimo diario, oggi ho preso una decisione fondamentale: io non morirò mai. Morirà la gente intorno a me. Verranno annullati. Della loro personalità non resterà niente. Si spegneranno le luci. A segnare il loro passaggio, la loro vita, ci saranno lapidi di marmo lustro con epitaffi fasulli («la sua stella brillò luminosa», «non ti dimenticheremo mai», «amava il jazz »), e poi anche le lapidi verranno spazzate via da un’inondazione oppure fatte a pezzi da qualche tacchino avveniristico geneticamente modificato. Non date retta a chi vi dice che la vita è un viaggio. Un viaggio è quando alla fine arrivi da qualche parte. Quando prendo il numero 6 per andare dalla mia assistente sociale, quello è un viaggio. Quando supplico il pilota di questo sgangherato aereo della UnitedContinentalDeltamerican di fare inversione nel mezzo della sua traballante traversata dell’Atlantico e riportarmi subito a Roma fra le braccia volubili di Eunice Park, questo è un viaggio.

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