Hadoken, una storia nerd

Un simbolo, niente di più. Che poi corrisponde ad un gesto, roba da nerd, videogiochi. Eppure, quel simbolo, mi riporta indietro fino agli anni ’90 e apre squarci di nostalgia a cui non riesco a resistere. Era il tempo delle sale giochi, dei cabinati che noi ragazzi contemplavamo come totem sacri. Ricordo benissimo quello di Street Fighter II, penso di averci speso tutte le paghette settimanali della mia adolescenza. Era complicato usare i tasti e le manopole, l’usabilità dell’hardware era pessima ma quando ti riusciva un hadoken tutta la fatica veniva ripagata.

Precisamente, il codice era disegnato con questi simboli, tre frecce e un pugno. “Giù, diagonale, avanti e pugno”. Ma la manopola dei cabinati non rispondeva con la giusta sensibilità ai comandi, per cui eseguire il colpo era una cosa rara quanto un terno al lotto.

Le cose sono cambiate con le console: era il 1995 quando a casa mia è arrivato il Super Nintendo, regalo di mamma e papà. C’era un videogioco incluso nella confezione: Street Fighter II Turbo. Era identico a quello della sala giochi, ma più veloce (Turbo, appunto) e il joystick permetteva di svolgere facilmente tutte le mosse che al cabinato risultavano quasi impossibili. Riuscire a eseguire in un soffio l’hadoken è stato come passare dall’accendere il fuoco con la pietra all’utilizzare l’accendino. Vabbè, forse esagero, facciamo come passare dalla bicicletta allo scooter. Ecco.

La velocità con cui si riusciva ad eseguire il colpo faceva la differenza tra un giocatore forte e un novellino. L’hadoken era un colpo destinato solo a due personaggi, Ryu e Ken (che ricordano non poco Daniel LaRusso e Johnny Lawrence di “The Karate Kid”). Gli altri personaggi erano tosti, ognuno con la sua storia ben ricamata dagli sviluppatori Capcom, ognuno con i suoi colpi e le sue caratteristiche, ma diventare icone è un’altra cosa. Per riuscirci serve un valore aggiunto, mi piace pensare che sia l’hadoken anche se non credo che il motivo sia proprio quello, ma vabbè.

L’hadoken è pop culture

Il fatto è che l’hadoken è un colpo epico. È stato da subito amato dal pubblico e persino emulato nella vita reale. È come se quel colpo, che ovviamente è qualcosa di puramente fantascientifico, fosse entrato di prepotenza nella cultura pop degli anni ’90. Il gesto è diventato il simbolo consacrato di tutti i giochi di combattimento successivi. È qualcosa di leggendario come la S sul petto di Superman, o il bat-segnale che il commissario Gordon accende nel cuore della notte. L’immagine di Ryu (o Ken) che esegue l’hadoken s’è fatta strada passando da una piccola nicchia di nerd alla grande massa, ed è finita nei vari gadget del merchandise, nelle riviste, nelle serie TV e persino sulla pelle delle persone (sì, qualcuno se l’è tatuato, prova a cercare “hadoken tattoo” su un qualunque motore di ricerca).

Come molti simboli di un’epoca, prima o poi anche questo svanirà. Non so se verrà sepolto insieme alla mia generazione, e non so se le ultime versioni di Street Fighter facciano breccia nel pubblico più giovane. Non ne ho idea. Ma il ricordo di quegli anni è per me nitido e nostalgico oltre ogni limite. E c’è un’immagine che descrive con precisione quel periodo della mia infanzia.

Ci siamo io e mio fratello, seduti sul pavimento, che giochiamo a Street Fighter II Turbo. Ce le diamo di santa ragione, gli occhi sono puntati verso il monitor ricurvo di una piccola TV a tubo catodico a cui è collegato con una presa SCART il Super Nintendo. Da quella console, custodita come si custodiscono i doni più preziosi, uscivano suoni di calci e cazzotti, e l’inconfondibile voce di Ryu che grida HADOKEN!

Tempi moderni

I miei sono solo ricordi in 2D, con grossi pixel e immagini poco definite. Ma per noi gamer degli anni ’90 quelle immagini erano davvero tutto. Erano motivo di incontro e discussione, erano amicizie e tante ore passate a giocare. Di tempo ne è passato parecchio, e sorrido nel notare che in Street Fighter 6, la release più recente del gioco, i personaggi storici siano invecchiati. Il “nuovo” Ryu ha la barba e il petto pieno di cicatrici. Ha perso quell’identità da teenager incazzato che sfoggiava nelle prime versioni del gioco. In fondo, il tempo passa pure per lui. Ma niente panico: esegue ancora l’hadoken, e anche in questa versione è spettacolare come non mai.