I fenomeni del web

È giunto il momento di smascherare i finti guru, i finti specialist, i miracle maker e tutta quella cricca lì. Ad un certo punto, basta.
Basta.

I titoli che si auto etichettano svelano già molto: auto definirsi guru è un po’ come dire “ciao io sono intelligente”. Insomma, l’autocompiacimento spesso svela il mal funzionamento di qualche rotella. Ma non è mica tutto qui.

Ci sono quelli che girano video in cui raccontano di fatturare 20 K al giorno (usano proprio il termine 20 K), mostrando addirittura l’estratto conto giornaliero davanti alla telecamera. Incredibile. Di solito, questi video vengono girati sulle terrazze appariscenti dei grattacieli di Dubai, Doha o altre città super appariscenti. Forse perché fa figo. A me trasmette tristezza.

Poi ci sono quelli che ti scrivono in privato, assicurandoti che grazie ad una applicazione magica che ancora nessuno, nessuno, ma proprio nessuno ha ancora utilizzato (chissà perché) si possono guadagnare cifre che persino Zuckerberg si sogna. Come funziona? Ti dicono di contattarli e dagli il tuo numero di cellulare, e i primi K (ancora questa maledetta K) arriveranno in un baleno. Sono tentato di contattarli, perché magari loro hanno ragione e il fesso sono io. Può essere.

Tuttavia continuo a credere che se fosse così facile guadagnare cifre simili, se bastasse davvero una semplice app, beh allora andremmo tutti in giro a bordo di una Lamborghini. 

E arrivo ai miei preferiti, quelli che svolgono il mio stesso mestiere. Alcuni hanno pubblicato libri che definiscono come rivoluzionari (ancora con la storia dell’autocompiacimento) perché svelano i veri segreti del copywriting. C’è addirittura un manuale che in copertina mostra decine di banconote e monete d’oro che zampillano fuori da una macchina da scrivere; un visual trash che più trash non si può, e qui mi sento in dovere di dedicare cinque secondi di silenzio per il povero grafico costretto a realizzarlo.

Hai lasciato trascorrere cinque secondi? Ok, continuiamo.

Potrei fare nomi e cognomi, come Conte, ma non è mia intenzione scatenare una guerra. Inutile, tra l’altro. Fino ad oggi mi sono limitato ad ignorare e segnalare come non gradite le social ADS di questi fenomeni, ma alcune tornano di tanto in tanto a popolare i miei feed di Instagram e Facebook, evidentemente non son abbastanza capace. Ma la fuffa la so riconoscere eccome.

A volte non è semplice, perché alcuni finti guru in una cosa sono davvero maestri: il travestimento. Sono dunque bravi a presentarsi seri e capaci, magari con un sito web ben curato. Ma è giunto il momento di smascherarli, lo dicevo ad inizio post e sì, facciamolo.

Come distinguere un esperto da un venditore di fuffa?

C’è uno strumento antico che mette subito le cose in chiaro: il portfolio. Cerchiamolo. La maggior parte di questi fenomeni non ce l’ha. Incredibile ma vero. Il portfolio è un documento che conferma cosa sai fare, come lo fai e per chi lo hai fatto. Insomma, contiene abbastanza informazioni per farci un’idea sul personaggio e se, in caso, vale la pena contattarlo per davvero.

La persona che ti assicura 5 semplici trucchetti per far decollare il tuo eCommerce, per quanti eCommerce ha lavorato? È riuscito davvero a farli decollare?

L’espertone che promette di trasformare la tua azienda in un’azienda leader, con chi ha lavorato? Di solito nel portfolio si trovano: Hotel Gina, Pensione Maria 2 Stelle, Gelateria Golosa, Bar da Bruno. Non che ci sia nulla di male a lavorare con piccoli brand, ma è importante soppesare bene quello che si dice con quello che si fa.

I peggiori sono però quelli che criticano. Una sorta di haters, spesso malati di LinkedIn. Ne ho incontrati diversi niente male, tutti pronti a sparare a zero su ogni post o progetto che pubblicassi. E qui, come dice Marco Montemagno in un suo vecchio video, quelli davvero bravi non perdono tempo a criticare gli altri.

Scavare a fondo

In assenza di un portfolio potremmo cercare qualche case study, dovrà pur esserci qualche post, video o podcast di un lavoro svolto. Se non troviamo neppure questo dovrebbe accendersi un campanello d’allarme.

Ok, magari il portfolio potrebbe non essere presente, ma se si tratta di un vero fenomeno ci sarà qualche informazione in rete: una pagina super seguita, una community accanita, qualche articolo che parla della tal persona, un’intervista, un riconoscimento o una recensione (anche negativa), insomma, qualcosa ci dovrà pur essere. Se non c’è niente, significa che quella persona non ha fatto niente.
Attenzione però agli articoli-marchetta, è fin troppo facile pagare una rivista per farsi pubblicità. E qui, ovviamente, è richiesto un nostro sforzo di codifica e giudizio.

Le scorciatoie non esistono

Meglio rivolgersi a chi il mazzo se lo fa davvero, a chi ha un percorso, uno storico, un portfolio, qualche case study, un elenco di clienti e referenze reali. Non esistono trucchetti o segreti, esistono lo studio, l’esperienza e la fatica.

Insomma: a parole e dietro una telecamere siamo tutti bravi, ma alla fine, contano solo i fatti.