Vita da freelance, come funziona?
A volte ci penso, perché ancora non sono sicuro di aver fatto la scelta giusta. Bisognerebbe chiederlo al Davide Bertozzi dei prossimi anni, magari una decina. Così, giusto perché col senno di poi sarà più facile essere obiettivi.
Quello che so ora è che questa, per me, è l’unica strada possibile. L’unica per me. Come da titolo, parlo della decisione di fare il freelance. Ho avuto il privilegio di poter scegliere il mestiere, e il coraggio – forse troppo – di lanciarmi. Avrei potuto accettare un contratto ma boh, otto ore al giorno e cinque giorni a settimana all’interno di un’agenzia di comunicazione, non fanno me. Non è la mia vita.
Bisogna essere portati per una cosa del genere. E io non lo sono neanche un po’. Ci ho provato, eccome, e mi è sembrato di spendere male il mio tempo. Come se le ore scorressero più velocemente e qualcosa mi stesse scivolando via dalle mani, dalle tasche, sotto le scarpe, lontano.
In quel tipo di mestiere non c’è nulla di sbagliato. Semplicemente, non è adatto a tutti. Così nel 2012 ho bussato alla porta di un commercialista che in pochi minuti mi ha convinto. E nel 2013 ho cambiato commercialista. Due scelte che oggi, a distanza di sei anni, mi sembrano corrette, giuste, utili per me e la mia attività.
Il commercialista è una figura fondamentale per la riuscita di una micro impresa. Non scegliere mai il primo che capita, e non aver paura di cambiarlo se ne senti la necessità. Il commercialista deve aiutarti nelle decisioni, anche in quelle in cui pensi non sia necessario coinvolgerlo perché “pensi già che si faccia così”. Beh, consiglio mio: coinvolgilo. Sa sempre un sacco di cose che tu non sai, e conosce meglio di te quelle di cui non sei completamente padrone. E se così non è, significa che hai sbagliato commercialista.
E com’è fare il copywriter freelance?
Così, a caldo, la mia risposta è “figo”. In questa singola parola riassumo malamente tutti i pro e i contro, le incazzature, le gratificazioni, gli applausi, le fatture mai saldate, il fantasma della tredicesima e tutte quelle cose che provo a raccontare in questo post.
I tanti luoghi comuni che gravitano intorno alla vita da libero professionista sono veri a metà. Ad esempio, molti mi dicono
“che bello, tu puoi gestire gli orari di lavoro come ti pare”,
ecco, questa è una cavolata: non mi alzo alle 11 del mattino e non lavoro di notte, perché i clienti sono operativi nei classici orari di ufficio, e io devo essere “abbastanza” presente in quegli orari; non posso mica chiamarli dopo cena. O scrivere email di notte.
Why not?
Beh, perché se lavoro con orari comodi, il cliente risponderà molte ore dopo, anche un giorno dopo, e quelle 24 ore sono preziose perché si trasformano, ipoteticamente, in un giorno in più per ricevere un pagamento, una proposta, un’opportunità, e in quel lasso di tempo può accadere di tutto, anche che qualcuno ti freghi il cliente. Ovviamente, mi è già capitato.
Ad ogni modo, la cosa che più mi piace di questa vita è il margine di crescita che offre. Una crescita che dipende in gran parte da scelte mie, non filtrate o dirottate da altri. Anche all’interno di un’azienda è possibile crescere, persino parecchio, soprattutto se si hanno intuito, talento e risultati, ma penso che queste ultime tre parole, dirottate nella vita da freelance, possano accelerare il processo di crescita professionale.
[Scusami, devo aver scritto crescita troppe volte in questo paragrafo, mi impegno a non farlo più, promesso].
La vita da libero professionista è una sorta di libertà moderata. Nel senso: non è che puoi fare quel cavolo che ti pare, ma sei tu il protagonista e il responsabile di ogni scelta. Mica poco. Certo, spesso i rischi sono devastanti, ne so qualcosa, ma tentare diventa davvero molto, molto più facile. Riuscire, però, è un’altra cosa. Come dicevo, servono intuito, talento, risultati, una buona dose di coraggio e un buon commercialista.
La gestione del tempo
Qui non so bene cosa consigliare, me lo chiedono in tanti e una risposta precisa non ce l’ho. Non nascondo che, quanto a gestione del tempo, sono davvero pessimo. Le mie settimane lavorative sono di circa 45 ore, talvolta raggiungo anche quota 50, un po’ perché spesso mi “incanto” al computer, un po’ perché, causa MotoGP, lavoro anche nei week end di gara – 19 all’anno. Di tanto in tanto, però, mi prendo qualche mezza giornata libera.
Le mie settimane sono molto variabili: metà del tempo lo trascorro insieme ad un’agenzia di comunicazione con cui ho un bellissimo rapporto personale e professionale, mentre la seconda metà la divido tra formazione, riunioni, incontri e progetti per le altre due-tre aziende con cui collaboro in modo continuativo.
Come avrai intuito, il “grosso” del mio lavoro al momento arriva dalle realtà con cui collaboro da tempo. Numeri alla mano, la cifra si avvicina al 70% del mio fatturato annuo. Il resto arriva da clienti nuovi o sporadici – ovviamente mi impegno il più possibile a trasformare anche questi ultimi in clienti continuativi, ogni tanto ci riesco.
Aggiungo che di clienti non ne ho chissà quanti, in fondo lavoro quasi sempre da solo o assieme al team di un’azienda composto, solitamente, da esperti di marketing e graphic designer. Quindi, tecnicamente, non ho la forza lavoro per gestire un ampio parco clienti, e nemmeno l’intenzione.
E i clienti?
Un mio ex datore di lavoro mi diceva sempre
“i clienti si dividono in due categorie: quelli che pagano e quelli che non pagano”.
In parte concordo, ma aggiungo che
“quelli che non pagano, a loro volta, si divino in due sottocategorie: quelli che non riescono a pagarti per motivi più o meno giustificabili, e quelli che ci godono nel non pagarti”.
Ma anche quelli che pagano, alla fine, si possono dividere tra:
- quelli che pagano con ritardi mostruosi;
- quelli che ti rinfacciano ogni centesimo;
- quelli con cui va tutto liscio.
Sì, questi ultimi esistono, c’ho le prove.
Ma attenzione ai clienti big, quelli che guidano grandi aziende e che in apparenza hanno un notevole potenziale di spesa; ecco, il fatto che siano grossi, anche molto grossi, non significa che abbiano la minima intenzione di buttare i propri soldi. Quindi, un servizio che vendi a X, a questi lo puoi vendere a un po’ più di X, non a X elevato a chissà quale potenza. Hanno un buon portafoglio, guidano grandi aziende, non sono mica scemi.
Oggi lavoro con aziende grandi e piccole, da micro imprese locali a PMI di tutto lo stivale, senza nascondere qualche brillante eccezione con i grandi brand della MotoGP. Per una o per l’altra, il mio costo rimane più o meno simile. Certo, a volte limo, altre aggiungo qualcosina, ma senza oscillazioni esagerate. Anche quando i commerciali mi dicono “spara alto” non mi fido mai fino in fondo. Quindi non lo faccio. Magari sbaglio, ma ancora non ho abbastanza dati per affermare con certezza di essere nel giusto. Tra dieci anni saprò essere più preciso, spero.
Come ho cercato i clienti
Ho iniziato a lavorare proponendomi alle agenzie pubblicitarie locali che non avevano un copywriter interno e non avevano alcuna intenzione ad assumerne uno. Per me, fresco fresco di partita iva, quelli erano i clienti perfetti: avevano bisogno di un copywriter saltuariamente, e in quelle occasioni avrebbero chiamato me – in teoria.
Insomma, questo era il piano. Qui dalle mie parti di copywriter freelance non ce ne erano granché all’epoca, e tutt’ora scarseggiano. Questo ha aperto un’opportunità che non mi son lasciato scappare. Tecnicamente, l’idea era di far sì che fossero loro, le agenzie stesse, a trovare i progetti per me. E ha funzionato.
Il mercenario
Questa scelta di posizionamento ha però anche dei risvolti negativi: alcuni mi hanno etichettato come mercenario: un libero professionista che non sposa una causa e che “va dove viene pagato” – testuali parole. Ovviamente io ho ribattuto con “e ci mancherebbe che vado dove non mi pagano”. Ma non è importante avere ragione, quello che conta, per me, è che certe aziende si son fatte questa idea del mercenario. Difficile far cambiare un pregiudizio del genere.
Da un lato è strano, perché questo non accade in altri mestieri: i medici, ad esempio, spesso lavorano in più ospedali, più ambulatori, a volte sia pubblici che privati, e questa è una cosa abbastanza normale. E perché allora un copywriter non può lavorare in più agenzie senza essere etichettato come mercenario? Mistero della fede. E sai una cosa? Nel tempo ho imparato a farmene una ragione.
Quello che svolgo all’interno di un’agenzia resta in quella agenzia e basta. Non lo condivido con altre realtà. Cerco sempre di precisarlo e farlo capire al primo incontro, ma a quanto pare non sono ancora così convincente.
In un paio di occasioni mi sono trovato allo stesso tavolo con due agenzie che mi contendevano, e sai cosa è successo? Hanno iniziato a collaborare tra loro ed io ne sono diventato il collante. Abbiamo vinto tutti, un triplo win. Questo mi ha insegnato che
la collaborazione è più proficua della guerra, anche tra aziende competitor.
Un’altra scelta di posizionamento
Sempre riguardo ai clienti, all’inizio della mia carriera ho preso un’altra importante decisione: evitare il turismo. Sono figlio di un cameriere e fratello di un direttore d’albergo, e il turismo in Romagna copre una fetta devastante di mercato. Tuttavia ho preferito evitare questo ecosistema. Non so, in tantissimi ci si cimentano o specializzano, ma niente, nel 2012 non mi sembrava una buona idea e ancora oggi sono convinto di aver fatto bene a starne fuori. Non che ci sia nulla di male, ma come altre cose della vita, anche questa, non fa per me.
Certo, qualche piccola eccezione c’è stata: ho scritto testi e pubblicità per alberghi o mete turistiche, non lo nego; ho creato da zero due portali di comunicazione turistica per il Comune d Ravenna e la Provincia di Rimini, progetti in cui ho creduto tanto e raccolto pochino, non nego neppure questo; di tanto in tanto ancora collaboro con agenzie specializzate in marketing per hotel e strutture ricettive; insomma, se mi chiamano e il progetto mi pare valido, beh, mica ci sputo su. Ma non sono io a cercarlo, ecco.
Non sono però il copywriter che si mette a scrivere i post chilometrici per indicizzare un albergo (che poi, sta cosa del numero di parole, boh), né quello da chiamare per elencare i tanti benefit di un hotel a quattro stelle. Questo genere di cose, ecco, io proprio no. E non è perché ci sia qualcosa di male ma perché proprio non mi riescono. Ad altri invece sì, quindi trovo giusto siano loro a farle.
Preferisco occuparmi di brand identity, personalità, immagine coordinata, ADV, e muovermi in quegli habitat in cui penso di poter dare un contributo rilevante. Nel turismo mi trovo impicciato quasi come nella moda. Ecco.
Croce e delizia
Quando arriva il giorno della denuncia dei redditi, ogni anno, mi avvilisco. Davvero, dal 2012 ad oggi non sono mai uscito felice dall’ufficio della mia commercialista. E sì, anche se sono contento della professionista a cui mi affido non sono ancora riuscito ad abituarmi alla dichiarazione dei redditi. Quello è l’unico giorno dell’anno, l’unico, in cui per qualche ora prendo in considerazione l’idea di fare altro. Tutt’altro. Poi mi passa. E quando mi passa, avverto una carica incredibile, un entusiasmo pazzesco nel voler fare di più e recuperare al più presto le spese annuali della partita iva.
È una questione psicologica, me ne rendo conto: prima ci sono la difficoltà e la paura di non farcela, poi arriva il vago pensiero di mandare tutto al diavolo, infine sopraggiunge la rinascita. Tutto nel giro di un giorno. Di solito dormo male la notte, ma già al primo caffè del mattino successivo mi sento più forte.
Dal 2012 ad oggi, questa diatriba interiore si è sempre risolta con un aumento del fatturato e della qualità dei progetti. Non posso affermare con certezza che per ottenere buoni risultati sia necessario passare per una giornata di merda, ma a me è andata così. E sono pronto ad affrontarne molte altre da qui alla vecchiaia.
Qualche micro-consiglio finale
Ancora non so perché mi sono cimentato in questo articolo. Qualcuno potrebbe storcere il naso leggendo le mie parole, sarebbe strano il contrario.
Mentre scrivevo i primi paragrafi pensavo che questo fosse un articolo per me, per fare il punto, o ritrovarmi, in qualche modo. E mentre le parole scivolavano una dopo l’altra in frasi più o meno sensate, ho pensato che in realtà non stavo scrivendo per me stesso ma per gli altri: i giovani copywriter che hanno intenzione di intraprendere una carriera da liberi professionisti, quelli che vogliono fare impresa, o ancora quelli che hanno iniziato da poco a svolgere questo mestiere.
E allora dovrei affrontare ancora molti altri argomenti, come la scelta dei servizi, del compenso, delle trattative con i clienti, del miglior caffè da tenere in ufficio, cose così. Ma questo post diventerebbe davvero troppo, troppo lungo. Magari ne scriverò una seconda parte prossimamente, ci penserò sù, promesso.
Per concludere ho pensato ad una serie di micro-consigli, apparentemente generici ma in realtà decisivi, o almeno per me lo sono stati.
Circondati di persone che ti fanno sudare.
Non poltrire.
Reagisci ad ogni momento di noia. Come? Con un libro, un esercizio, una sfida, un post sui social.
Studia discipline differenti e complementari alla tua: ad esempio, un corso di scrittura comica mi ha insegnato molto più di altri corsi di scrittura pubblicitaria, e mica me lo aspettavo.
Non aver paura di leggere libri in inglese se in italiano non sono ancora usciti, è tutto tempo guadagnato e una buona palestra per il tuo inglese, che non guasta mai.
Cambia le tue abitudini e tieniti pronto a farlo di continuo, sembra stupido ma questo cambierà anche il modo di affrontare un progetto; e per abitudini intendono cose anche banali, come la colazione, o anche il mouse che usi, o i quadri in ufficio, i fiori in casa, le cose sono lì per un motivo; ecco, la creatività si nutre di nuovi motivi.
Ma soprattutto, e questa è una delle cose che ho più a cuore, non prendertela se qualcuno è più bravo di te, più avanti di te, più celebre di te. Non esserne geloso. Piuttosto, senza cercare inutili giustificazioni, concentrati nel capire perché qualcuno è riuscito dove tu hai fallito. Questo ti aiuterà a fare meglio la prossima volta. Perché di occasioni ne arriveranno altre. Stanne certo.
Incassa, impara. Incassa ancora e impara ancora di più. Diventerai fortissimo.