La carota arancione è un’invenzione dell’uomo. I colori originari di questo tubero sono il viola e il bianco, ma in Olanda, nel diciassettesimo secolo, la famiglia Orange chiese ai propri agronomi di creare in laboratorio una carota arancione per omaggiare i colori della casata. Per un motivo pazzesco, questo artificio è diventato nel tempo una cosa talmente diffusa che oggi, se provassi a servire ai miei commensali una carota viola, di certo mi guarderebbero con sospetto.
Secondo te, questa storia è vera?
Le informazioni sono ancora insufficienti per poter dare una risposta.
Se però aggiungessi che questa storia l’ho letta su Cromorama, un saggio scritto da Riccardo Falcinelli, ecco che diventerebbe più facile trarre una prima e superficiale conclusione.
Tutto questo per dire che oggi leggiamo e ascoltiamo così tante cose verosimili, potenzialmente false, o spesso completamente errate, che è diventato obbligatorio verificare la veridicità delle informazioni. Approfondire è sempre necessario, e per chi si occupa di comunicazione è addirittura un dovere.
È tutta colpa delle fake news, di questo fenomeno che ha travolto tutti i media di comunicazione, da quelli digitali a quelli tradizionali, rovesciandone l’autenticità e scoperchiando una montagna di notizie imprecise, false e grossolane.
Siamo cresciuti con la convinzione che i libri cartacei contenessero certezze e ci siamo posti dei dubbi solo con l’arrivo della rete. Da Wikipedia a Yahoo! Answers ne abbiamo lette di cavolate, per non parlare di ciò che troviamo ogni giorno nel feed di Facebook.
In realtà, le fake news non sono un fenomeno da social, o meglio, grazie ai social sono uscite allo scoperto.
Se ci impegnassimo ad approfondire molti argomenti che abbiamo studiato o che crediamo di conoscere, se analizzassimo con attenzione il sapere del secolo scorso, incontreremmo migliaia di sorprese, storie vero-false ed incredibili semplificazioni della realtà. Ad esempio…
Quant’è grande il sistema solare?
Banalmente, per rispondere a questa domanda basterebbe fare una breve ricerca su Google, dove troveremmo inoltre molte immagini che raffigurano l’ordine del sole e dei pianeti. Ecco, tutte quelle illustrazioni, o render, sono solo raffigurazioni verosimili del sistema solare, disegni indicativi talmente imprecisi da risultare più falsi che veri.
Mi spiego: non esiste al mondo un modello in scala del sistema solare. Questo perché la distanza tra i pianeti è talmente ampia, incredibilmente ampia, che se disegnassimo la Terra grande quanto una piccola moneta, servirebbero chilometri di carta (o di monitor) per completare una rappresentazione in scala del sistema solare.
Nella monumentale opera “Breve storia di (quasi) tutto”, Bill Bryson scrive:
Non avete mai visto una mappa del sistema solare disegnata neppure lontanamente in scala. Nella maggior parte delle carte scolastiche i pianeti si susseguono uno dietro all’altro a intervalli ravvicinati, ma questo non è che uno stratagemma necessario a farli entrare tutti nello stesso pezzo di carta. […] Le distanze sono talmente enormi che disegnare il sistema solare in scala è impossibile. Anche inserendo nei libri scolastici moltissime pagine ripiegate […] non ci si avvicinerebbe all’obiettivo. In un diagramma in scala, con la terra ridotta al diametro di un pisello, Giove dovrebbe essere posto a oltre 300 metri dal nostro pianeta, e Plutone sarebbe a 2 chilometri e mezzo (per giunta sarebbe all’incirca delle dimensioni di un batterio, quindi impossibile da vedere).
Dunque la cosa è abbastanza complicata, e i libri si affidano ad immagini incredibilmente indicative, sia nelle proporzioni che nelle distanze. Si tratta dunque di immagini verosimili, imprecise quanto una comune notizia che cestiniamo come falsa.
La difficoltà di rappresentare con precisione le cose immensamente grandi la riscontriamo anche con le cose immensamente piccole. Prendiamo l’atomo. Chi sa disegnare un atomo? È luogo comune immaginarlo simile ad un uovo, con un nucleo all’interno. Nei libri lo troviamo sferico e trasparente, ma siamo sicuri che sia davvero così? O forse la sua rappresentazione è solo una riproduzione indicativa per farci capire la sua composizione?
Turismo, marketing e fake news
Di cose imprecise e verosimili il mondo ne è pieno. La vita ne è piena, e i professionisti del marketing ne producono in continuazione e le usano come esche per vendere e sedurre (d’altronde, quando andiamo a pesca costruiamo dei fake per fare abboccare i pesci).
Faccio l’esempio di un eclatante caso turistico presente nella zona in cui abito: il famoso castello di Gradara, un’affascinante e imponente rocca medievale che divide i confini dell’Emilia Romagna da quelli delle Marche. Si narra che tra le sue mura sia avvenuta la tragica storia di Paolo e Francesca (chi ha letto la Divina Commedia si ricorderà forse dei due innamorati).
Questa cosa del “si narra” è già un indizio: non ci sono prove effettive che i due si siano amati proprio lì. Anzi, alcuni documenti affermano che il luogo preciso sia da tutt’altra parte. Ma durante le visite guidate, ovviamente, le guide dicono sempre “in queste stanze si sono amati Paolo e Francesca”, facendoti immergere in un’atmosfera romantica. E tu, felicemente, ci credi. Anche se non è poi così vero, ci credi, perché l’emozione è reale. Un po’ come accade con il mostro di Loch Ness che continua ad essere avvistato.
Dietro tutto questo ci sono delle forze che ci spingono a credere ad una determinata storia e ci tengono saldamenti ancorati nel mondo del vero-finto.
Nel piccolo saggio “Io credo alle sirene” di Andrea Fontana, c’è un capitolo che parla del “blending cognitivo“, un’esperienza che nel libro è descritta così:
Il blending ci porta a mescolare insieme fattualità e contro-fattualità quando leggiamo una fake news e ci diciamo: “non è vera ma ci credo”. O ancora meglio: ignoriamo completamente che sia fake e la cataloghiamo immediatamente come oggettiva, anche se non lo è. Senza il blending non ci sarebbe riconoscimento della nostra esistenza.
Tornando a Gradara, per fare i pignoli, pare che nemmeno il castello sia poi così autentico. O meglio, si tratta di una ristrutturazione: durante i bombardamenti della prima guerra mondiale è stato distrutto in buona parte, e tutto ciò che vediamo oggi è una ricostruzione, identica al passato, ma pur sempre una ricostruzione. In architettura si dice “dov’era, com’era”. Quindi le sale interne, i mobili, i baldacchini e le mura, non sono affatto medievali. Ma in fondo, dopo una meravigliosa visita guidata dove ti sei innamorato degli ambienti e delle torri, beh, che te ne frega se sia tutto autentico oppure no. Quello che hai visto è abbastanza credibile, abbastanza reale.
Ora pensa a quello che hai letto in questo articolo: la carota viola, il sistema solare e il castello di Gradara. Pensi che sia tutto vero quello che ho scritto? È possibile che ti abbia raccontato qualche balla o che abbia romanzato qualcosina?
Consiglio: non credere a tutto ma chiediti se quanto di ciò che hai letto ti sembra realmente possibile. Forse andrai a verificare qualcosa ma ti prego, non farlo solo su Google, scava più a fondo e fatti una tua idea. Tieni a mente questo approccio e questo tipo di ricerca, ti aiuteranno a non cadere nelle trappole del marketing, nelle promesse pubblicitarie e nelle affermazioni dei politici. Scava a fondo e tieni bene a mente che
vero e falso non sono i due estremi di un interruttore, ma sono, piuttosto, gli estremi di un potenziometro, grazie al quale è possibile calibrare il rapporto tra vero e falso.
Dobbiamo cercare e informarci di più, verificare le fonti e dubitare persino di quello che sappiamo. Come Fox Mulder e Dana Scully, dobbiamo convincerci che la verità è ancora là fuori.