Un payoff di gusto
Per scrivere il payoff di un’azienda si parte dal suo nome: ne si studia la forma e il significato, il racconto, le eventuali criticità. Le informazioni raccolte si mettono accanto a quelle dell’identità di marca e degli obiettivi di business. Il riassunto di tutto questo, di solito, è un buon punto di partenza per scrivere un buon payoff.
Perché serviva un payoff
A farla breve: Imballaggi360 vende prodotti per il delivery e l’asporto, soprattutto per bar, ristoranti e pasticcerie. A farla ancora più breve: vende packaging alimentare. Il suo focus si concentra prevalentemente nel settore food, e questa informazione nel nome non appare. Non che debba esserci per forza, ma è una considerazione venuta alla luce durante il briefing di progetto.
Il guaio è che il nome racconta altro: si tratta di un nome descrittivo che tuttavia non è preciso: Imballaggi360 lascia intendere che l’azienda si occupi di ogni sfaccettatura degli imballaggi, e per imballaggi qualcuno può intendere qualunque loro tipologia: quelli per le spedizioni, per i traslochi, i materiali fragili, le valigie in aeroporto e ovviamente anche per gli imballaggi alimentari. L’azienda non voleva cambiare il nome, almeno per il momento, così ha pensato di aggiungere un payoff per precisare il settore di competenza, e ha chiamato me.
Il processo creativo
Ho pensato che per chiarire immediatamente quale fosse il campo da gioco, e per non lasciare ambito ad eventuali malintesi, la parola packaging non potesse mancare. Fondamentalmente Imballaggi360 vende prodotti che contengono, custodiscono, proteggono, inscatolano. Packaging appunto. Alimentare, per la precisione. Viene facile pensare che un sobrio payoff come packaging alimentare fosse corretto, ma questa formula è già in uso da alcune aziende competitor. Quindi niente, bocciata.
Eppure il termine packaging ci voleva, così ho riflettuto sul pubblico che sceglie i prodotti di Imballaggi360: bar, ristoranti e soprattutto pasticcerie. Tutte realtà che hanno a che fare con il cibo, con le cose che si mangiano, con le cose golose, buone. Ecco, golose e buone sono due aggettivi abbastanza a fuoco. Così ho lavorato su questi, cercando modi di dire e frasi comuni legate al gesto del mangiare. Ho presto trovato soluzioni come fare gola, intesa come tentazione, e di gusto, intesa come una cosa bella, gustosa, fatta bene, attraente.
Un oggetto che fa gola è un oggetto che dà ambito alla tentazione. Una persona che ha gusto è una persona che sa lavorare con una certa idea di bellezza. Questi significati non mi dispiacevo nemmeno un po’, così ho presto scritto due payoff:
- packaging che fa gola
- il packaging di gusto
Entrambe le proposte parlano di food e tentazione, e sappiamo bene quanto l’aspetto sia importante nel settore alimentare, e non solo.
L’idea di esaltare anche il concetto di bellezza rende il payoff più interessante e racconta l’importanza che un buon packaging può avere sulla scelta del prodotto. Perché in effetti, il packaging serve anche a questo: farsi desiderare, amare, piacere. E in comunicazione, l’abito fa il monaco. Poco ma sicuro.
Ecco dunque pronto un nuovo payoff che precisa qualcosa che manca nel nome e nell’immaginario del brand: il packaging del gusto.
Credits
Cliente: Imballaggi360
Agenzia: Grafite
Copywriter: Davide Bertozzi
Fotografa: Elisa Parma