C’era una coppia in America
Questo è un racconto di viaggio. Un viaggio di nozze per la precisione. Ma non scrivo di cose romantiche o sdolcinate che non interessano a nessuno. Qui trovi le impressioni che ho annotato durante le soste e i tramonti, a volte in città sperdute nel deserto, altre ancora in luoghi naturali in cui dimorano una pace e una solennità che non avevo mai incontrato prima.
18 giorni, 3.500 miglia percorse, due voli interni (di cui uno in elicottero), 8 città in cui abbiamo trascorso almeno una notte, 5 parchi nazionali e 5 canyon; questi sono i macro dati del viaggio, il resto è una quantità smisurata di emozioni e sensazioni che ho raccolto e appuntato qui, con immagini e parole.
Itinerario: California, Nevada, Arizona, Utah e ritorno
- San Francisco
- Silicon Valley
- El Portal
- Yosemite
- Visalia
- Sequoia Park
- Las Vegas
- Grand Canyon
- Kayenta
- Monument Valley
- Page
- Horseshoe Bend
- Antelope Canyon
- Glen Canyon
- Las Vegas
- Los Angeles
- Santa Monica
- Long Beach
- San Diego
San Francisco, giorno 1
Alle 4 del mattino ho gli occhi spalancati, colpa del jet lag. Chiara sembra non averlo accusato, beata lei. Comunque ho fame, così appena sveglia la porto da Pinecrest Dinner dove mangiamo omelette giganti e scopro che il vero caffè americano è parecchio più forte di quello che mi preparo a casa. Solo più tardi scopro che Pinecrest Dinner è noto (anche) per un omicidio avvenuto al suo interno. Ecco.
Visitiamo Ferry, un mercato sul porto, percorriamo a piedi il lungomare fino a Fisherman’s Wharf, qui ci fermiamo ad osservare i leoni marini e a visitare una quantità smisurata di negozi.
Raggiungere a piedi Coit Tower è un’impresa tosta (le salite di San Francisco sono micidiali) ma siamo determinati e la vista dalla cima della torre ripaga dello sforzo fatto. Il ritorno, in discesa, è una passeggiata, letteralmente. Nonostante Google Maps sempre a portata di mano riusciamo a perderci nelle strade della città, ma non ce ne preoccupiamo perché “finché scendiamo va bene”. Così scendiamo fino al Golden Bridge, dove soffia un vento gelido che ti spacca le ossa e inevitabilmente ti spettina i capelli, quindi le foto vengono così così. Il tramonto al Golden Bridge, però, è pazzesco.
Lasciando Fisherman’s Wharf in direzione China Town assistiamo in diretta a una rapina: un’auto con a bordo due persone parcheggia in doppia fila, il conducente resta con le mani al volante, l’altro esce dal veicolo e in una manciata di secondi sfonda il lunotto di una delle auto parcheggiate lungo il viale, prende tutte le borse del bagagliaio e risale nella sua macchina come se nulla fosse per poi sfrecciare sulle colline di San Francisco. Il tutto è accaduto in pieno giorno, decine le persone presenti, tra cui io e Chiara, nessuno che abbia tentato di fermare la rapina. Questo è quanto.
Visalia, giorno 5
Ci fermiamo a Visalia dopo non so più quante ore di auto e quante miglia percorse. Miglia, sì, qui i chilometri non esistono – ci si fa l’abitudine. La Chevrolet Equinox è parcheggiata qui dietro, ancora con il cofano rovente, potesse raccontare quello che ha passato negli ultimi due giorni, sarebbero guai.
La tappa alla Silicon Valley si rivela una delusione, ci aspettavamo chissà cosa e invece è fredda e inospitale. Tutta un’altra cosa a El Portal, dove trascorriamo una notte nel bosco, e allo Yosemite, parco stupendo, scenico e instagrammabile come pochi.
Ma la vera bomba per noi è il Sequoia Park. Siamo venuti in America per vedere cose pazzesche ed eccoci accontentati. Qui si trovano sequoie alte 60, 70, 80 metri. La più celebre viene chiamata General Sherman Tree, è alta 84 metri e ha una circonferenza di 31 metri. Ha più di 2.200 anni di età. Duemila e duecento anni! Gesù non era ancora nato, per dire. Ma dico: dopo un po’, tutto questo mondo, non ti stanca? A quanto pare no.
Ora siamo a Visalia, dicevo, facciamo una breve sosta poi ripartiamo: direzione Las Vegas. Lì ci aspettiamo altre grandi cose.
Las Vegas, giorno 6
Siamo a Las Vegas. La città più folle, esagerata e tamarra che abbia mai visitato. Chiara se ne innamora subito, io rimango affascinato ma riservo qualche sospetto. Ho come l’impressione che non sia il posto per me. Semplicemente, mi pare davvero troppo, “tutto troppo”.
Le dimensioni degli hotel, per dire, sono devastanti: il più grande è il Venetian con 4049 camere, ma anche il Bellagio non scherza con le sue 3933 stanze (tra l’altro, il Bellagio è l’hotel in cui è ambientato il film Ocean’s Eleven). Noi soggiorniamo al Tropicana, un resort con dimensioni più umili: ha “solo” 1658 camere, 4600 metri quadri di casinò e 9300 metri quadri di area spettacoli. Per gente che viene dalla Romagna, abituata agli hotel di Rimini e Riccione, Las Vegas sembra un film di fantascienza. E in effetti lo è.
Entriamo a visitare gli hotel tematici: New York, Cesar, Luxor (quest’ultimo è a forma di piramide, pazzesco); giochiamo al casinò, ovviamente perdiamo qualche centinaia di dollari. Camminiamo un casino, soprattutto la sera, al giorno fa così caldo che non è una grande idea rinunciare alla piscina per una passeggiata. Mangiamo un sacco di schifezze americane, tra cui uno S’More di cui Chiara è particolarmente soddisfatta.
Da qualche parte in Arizona, giorno 7
Lasciate la California e il Nevada, raggiungiamo (con parecchie ore di auto) lo stato dell’Arizona. Siamo ancora rintronati dal caos di Las Vegas, ma in poche miglia quel caos diventa calma nelle pianure e nei boschi intorno al Grand Canyon. Perché sì, la nostra destinazione è proprio questa. Poco prima di raggiungerla incontriamo cervi in libertà che si avvicinano curiosi al ciglio della strada, e lì si fermano (o almeno non li vediamo attraversare e mi piace pensare che se ne restino buoni lì, lontani dall’asfalto).
Raggiungiamo finalmente i punti panoramici da cui osservare il Grand Canyon, sono momenti forti e pieni di meraviglia. Una vista del genere ti riempie gli occhi di bellezza. “Tutto merito dell’erosione e del fiume Colorado”, leggiamo. E ci sembra incredibile come un fiume possa creare un paesaggio e un panorama del genere.
A proposito del Grand Canyon, Bill Bryson scrive:
Non c’è nulla che possa prepararvi al Grand Canyon. Indipendentemente da quanto abbiate letto sull’argomento o da quante immagini abbiate visto, la visione è sempre mozzafiato. La mente, incapace di concepire uno spettacolo di questa portata, semplicemente soccombe e, per lunghi istanti, vi sentite una nullità, rimanete senza parole né fiato, e provate solo un inenarrabile sgomento davanti a un fenomenale spettacolo così immenso, meraviglioso e silenzioso.
Saliamo anche a bordo di un elicottero per fare il giro dentro al Canyon. Affrontiamo questa esperienza a stomaco vuoto, e siamo certi di aver fatto la cosa giusta viste le turbolenze e le oscillazioni del mezzo. Facciamo colazione poco dopo, con uova, pane tostato e caffè americano, risaliamo a bordo della nostra Chevrolet e partiamo in direzione Monument Valley con gli occhi pieni di meraviglia e il cuore pieno di emozioni.
Kayenta, giorno 8
Sono 1500 le miglia percorse tra California, Nevada e Arizona, ma siamo solo a metà del nostro viaggio, così oggi superiamo il confine di un nuovo stato: lo Utah. Arriviamo nella città di Kayenta, popolata per lo più da quello che rimane delle popolazioni native locali. Leggiamo recensioni terribili sulla cucina dei Navajo, e invece ci innamoriamo del loro pane tipico che, scaldato al forno e arricchito con formaggio, pomodori, peperoncino e pesto, diventa il piatto migliore di questa vacanza.
Kayenta è conosciuta per essere la città più vicina alla Monument Valley, siamo qui proprio per questo. Percorriamo dunque altre 43 miglia (circa 70 km) lungo la bellissima Route 163 e poi la vediamo, la Valley, con le sue torri di sabbia e roccia. Leggiamo che il colore rossastro è causato dall’ossido di ferro.
Il paesaggio è di una bellezza imbarazzante, lo si potrebbe ammirare per ore senza annoiarsi. Ma si può fare di più: lo si può attraversare in auto. Ed è proprio ciò che abbiamo intenzione di fare domani mattina prima di partire verso la città di Page.
Page, giorno 11
Salutiamo Page per tornare a Las Vegas, lì lasceremo l’auto e prenderemo un volo per Los Angeles. Dopo quasi 2000 miglia percorse siamo un po’ stanchi di guidare e felici di spostarci in aereo.
Page ci resterà sempre nel cuore: è una città di 7551 anime, esiste prevalentemente di turismo grazie alle bellezze naturali che la circondano, e tutte hanno in comune una cosa: il fiume Colorado.
Abbiamo visitato le più sceniche, tra cui: lo Horseshoe Bend, luogo in cui il fiume compie una spettacolare “U”; l’Antelope Canyon, un anfratto dai giochi di luce pazzeschi; il Glen Canyon, da cui si ammira il fiume Colorado crogiolarsi tra laghi e insenature.
I nostri iPhone sono zeppi di fotografie, gli occhi colmi di bellezza, il cuore pieno di entusiasmo. Probabilmente a Page non torneremo più, quindi facciamo tesoro di ogni istante trascorso in questi luoghi pazzeschi e dirottiamo l’auto verso Las Vegas. Qui prenderemo il volo per L.A., dicevo, ma prima ci aspetta un’altra notte al casinò, chissà se la fortuna sarà dalla nostra parte.
Los Angeles, giorno 13
Città pazzesca Los Angeles. Innanzitutto è enorme: le distanze tra un quartiere e l’altro sono micidiali; le mappe della città non rendono l’idea delle dimensioni e anche Google Maps non ci capisce granché, ma non è un problema camminare un po’ più del previsto. Il problema è guidare. Noleggiamo un Honda CR-V e ci lanciamo in strada. Ora, per chi non lo sapesse:
negli USA si può superare anche nella corsia di destra, e ai semafori, in alcuni casi, si può passare anche con il rosso se si deve girare a destra. Sembra strano, lo so, ma qui funziona così.
A rendere il tutto più difficile sono le strade a sei corsie, intendo sei per carreggiata, e un traffico costante e continuo di auto che ti sorpassano sia da destra che da sinistra, e che girano con il rosso quando non te lo aspetti e ti strombazzano se non lo fai anche tu. Se volete vedere il caos in pratica, guidate a L.A.
Non so come, ma arriviamo in hotel senza un graffio alla nostra Honda. Appena il tempo di lasciare le valigie in camera e siamo già sotto la famosa scritta Hollywood e nella Walk of Fame. Qui, scattare fotografie sopra le stelle dei personaggi dello spettacolo è una cosa un po’ scontata, lo so, ma non riesco a trattenermi quando raggiungo la stella dei Mötley Crüe e quella di Ozzy Osbourne. Non mi accorgo della stella di Scarlett Johansson ma Chiara, più attenta di me, la nota, e con una certa compassione mi dice “qui non vuoi scattare una foto?”.
Quindi ste foto ovvie le scatto pure io, in fondo non so se tornerò mai più a Los Angeles.
Andiamo a letto tardi, ci svegliamo presto per non perdere nemmeno un istante di questa città enorme, piena di squarci inaspettati, gente che parla da sola, ville da paura e sirene della polizia non stop. Guidiamo nel tratto conclusivo della Route 66 e raggiungiamo Santa Monica Beach. Qui ci perdiamo nella bellezza del litorale e del pontile, mangiamo roba fritta come se non ci fosse un domani, seguiamo uno show di breakdance e “pucciamo” i piedi nell’oceano. Ora, quello che sto per scrivere è un po’ alla Baricco, ma io l’oceano non l’avevo mai visto prima, quindi vi lascio immaginare l’emozione che ho provato nel passeggiare lungo la riva del Pacifico. Ci promettiamo di fare il bagno il giorno successivo, oggi siamo senza costume, mannaggia.
Nel frattempo raggiungiamo Long Beach, ci godiamo un altro tramonto pazzesco e ci accorgiamo per la prima volta, dallo scorso 10 settembre, che questo viaggio è agli sgoccioli. Ci mancano ancora 3 giorni a San Diego, ma sono gli ultimi. La cosa un po’ ci rattrista ma al tramonto è normale sentirsi nostalgici e malinconici.
Lasciamo Los Angeles con parecchi ricordi, alcuni ben evidenti sulla pelle: niente tatuaggi, eh, ma il sole ci ha bruciato spalle e braccia. Come sempre, la crema la spalmiamo un’altra volta.
San Diego, giorno 15
San Diego è l’ultima città che visitiamo. Più sobria e composta rispetto Los Angeles, San Francisco e ovviamente Vegas. A tratti è quasi romantica. I quartieri residenziali sono così curati che è scontato pensare “non sarebbe male abitare qui ”, e la vita notturna nelle zone di Little Italy e Gaslamp garantisce il miglior antidoto contro la noia.
La costa è bellissima, alterna sabbia, roccia e verde, ci si arriva in auto e si parcheggia dove si trova, senza caos, ingorghi o parcheggi in doppia fila. Sulla spiaggia si trovano flotte di pick-up vintage e un po’ tamarri, sono quelli dei surfisti.
Da queste parti, se non hai una tavola da surf e un pick-up con l’adesivo di Bob Marley appiccicato sul retro, non sei nessuno.
A San Diego i tramonti sono appuntamenti imperdibili, soprattutto nella zona di Point Loma. Ci siamo mischiati con la gente del posto nei pressi di Sunset Cliffs e lì siamo rimasti a goderci il sole che scende oltre l’orizzonte del Pacifico. Presente i momenti perfetti? Ecco, uno di quelli.
La cosa che ho amato di più
Ho amato ogni miglio di questa vacanza, ogni metropoli e ogni micro-paese, ma nel cuore ciò che tengo più stretto non è il ricordo di un luogo in particolare, è piuttosto un concetto. Il tramonto nei deserti dell’Arizona, con la sabbia rossa e il niente intorno, solo tu, la tua compagna di viaggio e la tua auto, e un caldo che ti piega, e il niente dicevo, il niente mi affascina moltissimo. Il concetto del niente si presenta in molte forme negli Stati Uniti, lo trovi nei deserti, ovviamente, ma anche nelle micro contee in mezzo al nulla, così desolate dal resto del mondo che è difficile concepire anche come la gente che ci vive possa fare la spesa, o se abbia la corrente elettrica in casa. Quel niente lì.
E le distanze. Enormi, lente, riempite con miglia e miglia di deserto, qualche insegna del Mc Donald’s qua e là, camper che vagano chissà dove, camion rossi della Coca-Cola, filo spinato, gomme squarciate a bordo carreggiata, negozi nel nulla, e ancora niente. Questo concetto qui è quello che cercavo, ed è proprio come me l’aspettavo. È un concetto introspettivo e nostalgico, e mi mancherà sempre.
______________
Un grazie speciale a:
- Chiara, compagna di viaggio e di vita;
- Dominio Experience, in particolare Alessandra, per le dritte, l’itinerario e mille-mila prenotazioni.