Tributo alla Bic blu
“Non so quante ne ho amate, non so quante ne ho avute, per colpa o per destino le penne le ho perdute”.
Le Bic blu. A centinaia, così tante che potrei definirmi un endorser, ma le penne non me le hanno mai regalete, e nemmeno le parole. Costano così poco, le Bic, costano ancora meno ma valgono molto di più, i versi e le frasi. Quante ne ho usate. Finite e sfinite, mangiucchiate, rosicchiate e rotte, perse, prestate dimenticate lanciate e regalate. Quanto inchiostro, a fiumi, densi e scuri, di color blu navy. Le penne rosse o verdi non mi sono mai piaciute, nemmeno per correggere. Quelle nere poi, le detesto, ci vedo una tristezza in quel loro graffiare e tingere di un nero che non è mai nero per davvero, tende certamente ad un lucido fumo di Londra, e non dà vigore e colore, per definizione, al testo.
Anche se ho smesso di scrivere a mano dopo l’ultimo esame universitario, e se ci riprovo dopo pochi minuti i tendini cominciano a incazzarsi, l’appuntare e l’abbozzare non smettono mai di riempire manciate di minuti in ogni mia giornata. Come se dovesse pur sempre rimanere un tratto analogico in ogni gesto del quotidiano. Che per me è gesto di nobile piacere, di lavoro, e di passatempo. La velocità che raggiungo con la tastiera del computer, la comodità dei tasti morbidi e il rumore dei polpastrelli che colpiscono i martelletti gommati raggiungono perfezioni che la mia Bic blu nemmeno si sogna. Eppure rimane sempre lì nel mio portapenne, assieme a gomma e matita, che hanno lo stesso compito della Bic, perché io non disegno, non sono proprio capace, ma a volte quello che scrivo e attraverso con la penna capita che lo eseguo con la HB 2.
E ora non sto a parlare di grafite e durezza, ma solo di un’instancabile e continua permanenza della mia Bic blu, a cui devo qualche riga di omaggio, perché più di una volta mi ha salvato, dall’impazzire, dallo scrivere di fretta, dal gettare parole istintive e da tutti quegli errori che si commettono per non badare mai al fatto che compiere certi gesti con calma ci aiuta a respirare. Ossigenare. Quando parlo non riesco a misurare, dosare e contenere le parole, proprio come quando scrivo al computer. Ma se uso la penna blu, quella Bic fedele e sincera inforcata a testa in giù nel portapenne, solo allora, evito di esplodere, com’è già accaduto, assieme a tutte le lettere e le frasi compresse nella mia testa, ben legate da una miccia che conduce al centro della sfera, centro di gravità fatto di tritolo e disperazione, quasi follia, che se esplode non c’è speranza, ma solo assenza ed una lunghissima rincorsa a raccogliere tutte le lettere sfuggite via. Ricomporle secondo il giusto ordine. E quando tutto torna al suo posto, è sempre troppo tardi.
(Non me ne voglia Francesco Guccini per lo scempio che ho commesso)
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[…] sia a mano – non mi separo mai dalla mia Moleskine – che al computer. Noto che uso la Bic blu quando sono indeciso, e ruotando la punta della penna riesco a scrivere in un tempo più o meno […]
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