Voglia di tè
Ho voglia di tè. Che in italiano si scrive tè. Solo tè. Ma sono accettate anche le forme tea, all’inglese, e thé, alla francese. È sempre tè. Assolutamente vietate le forme creative thea e té, che si scoprono su molti menù e manifesti pubblicitari. Io scrivo sempre e solo tè.
Non mi importa dei francesi e degli inglesi, che poi questi ci aggiungono persino il latte. Latte e tè, nel tè inglese, o english tea. Vietato scrivere english thé, che sennò s’incazza la gente di Parigi e s’offende quella di Londra. Bere un thé inglese è come bere da una tazzina vuota.
In questa faccenda del tè ci imbattiamo tutti, prima o poi.
O meglio, ci imbrattiamo di combinazioni pazzesche che spesso finiscono persino sulle lattine o sulle bottigliette. C’è anche una scritta sul muro, nascosta tra le pareti di un quartiere. Un cuore nero e accanto in stampatello HO VOGLIA DI TÈ, MARTA. E non capisco se Marta abbia voglia di una tazza di tè, o se qualcuno abbia voglia di questa Marta e per colpa di un accento di troppo abbia confuso la sua amata con la bevanda orientale, o se ancora, sia proprio questa Marta, poverina, ad avere voglia di qualcuno.
Non ne si capisce niente. In ogni caso è la voglia di qualcosa o qualcuno che conta. E che fa nascere storie assurde. Colpa degli accenti e dei significa(n)ti. Colpa del vedere storie pazzesche anche solo leggendo una frase scritta sul muro, o mescolando lo zucchero in una tazzina di tè. Una tazzina vuota di english thea.
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