Vapore caldo
Un po’ per rabbia un po’ per orgoglio, ti viene la voglia di uscire di casa sbattendo il portone e fare una passeggiata sotto la pioggia. Dopo pochi passi smette di piovere. E resti fermo e immobile col mento verso il cielo, un perfetto imbecille in mezzo alla strada. Anche a star lì impalato – e imbecille – sei certo che non cadrà più una goccia d’acqua sulla tua fronte. Eppure la cerchi. Sperando che ti travolga e ti affoghi, e porti via, lavi e trascini lontano da quella prigione intercostale tutto lo sporco che c’è. Le pozze di umidiccia malvagità e ingiustizia che si incastrano tra una costola e l’altra. Quasi fossero spine inforcate nelle ossa, incastonate nel corpo fermo in mezzo alla strada. Che guardi avanti o guardi indietro non cambia necessariamente nulla. Gli occhi si trovano sempre di fronte ad un panorama in cui non c’è niente da vedere. Un paesaggio di cui poi non ti ricordi nulla. Lì capisci che non c’è scampo. Sei in trappola. Eppure non piove. Torni a casa con i nervi tesi e affilati, ti spogli e lasci tutto lo sporco che hai addosso, almeno quello che porti appresso, fuori dalla doccia. Apri l’acqua e aspetti che sia tanto bollente da strappare la pelle. Quando credi lo sia abbastanza ci entri dentro, e nonostante tutto il vapore, tutto quel furioso calore, quello che senti è solo un freddo cane e bastardo. E non percepisci più la differenza tra ciò che hai dentro e ciò che hai fuori.
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