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Dopo quel momento non c’era più nulla

Ho letto quasi tutti i libri di Cormac McCarthy, quasi. E per tre volte mi è capitato di pensare, appena un attimo dopo aver letto l’ultimo capoverso, qualcosa come “non ho mai letto nulla di così intenso, e bello”. O qualcosa del genere. L’ho pensato dopo aver terminato Non è un Paese per Vecchi, La Strada e ora, di nuovo, al termine di Cavalli Selvaggi (Einaudi, 1996). Sarà per la pulizia del testo, lo spogliarsi delle dense descrizioni che hanno caratterizzato altri scritti di McCarthy, o anche per l’affluenza delle solite frasi straordinarie che svelano segreti della vita, della sua, che vorresti avere anche tu, ma son segreti, e non saranno mai tuoi. O miei. La cosa che più mi ha colpito è la raffinata descrizione di un amore nella sua essenza più primitiva e nella sua durezza più feroce. Senza tanti giri di parole, o metafore, l’autore crea un desiderio immenso senza smielare la narrazione.

Le giurò che se gli avesse affidato la vita non l’avrebbe mai tradita né abbandonata e l’avrebbe amata fino alla morte e lei disse che gli credeva. […] Loro tirarono le tende, fecero l’amore e dormirono abbracciati. Si svegliarono all’imbrunire. Lei uscì dalla doccia avvolta in un asciugamano, si sedette sul letto, gli prese la mano e lo guardò. Non posso fare quello che mi chiedi, gli disse. Vorrei. Ma non posso. Lui percepì chiaramente che quel momento era l’esito di tutta la vita e che dopo non c’era più nulla.

E che dopo non c’era più nulla. In questa frase c’è il senso dell’amore, l’ampiezza, la portata nella vita di un uomo. Qualcosa che riempie ogni senso. E ognuno capisce benissimo di cosa sta parlando. Senza descrizioni, senza colori, e forme, o piani, ogni lettore capisce perfettamente – perfettamente – questo senso di vuoto, l’orizzonte opposto della felicità. Con la stessa durezza Cormac affronta un instancabile legame fra l’uomo e la natura, fra l’uomo e il male, e Dio.

Pensò che la bellezza del mondo nascondeva un segreto, che il cuore del mondo batteva a un prezzo terribile, che la sofferenza e la bellezza del mondo crescevano di pari passo, ma in direzioni opposte, e che forse quella forbice vertiginosa esigeva il sangue di molta gente per la grazia di un semplice fiore.

C’è un viaggio a cavallo, con due protagonisti, una donna – Alejandra, con i suoi occhi che possono in un batter di cuore sconvolgere il mondo -, c’è un grande silenzio, e la speranza di un mondo migliore che, di solito, non arriva. Ci sono quelle cose che non cambieranno mai, e tanta sofferenza, in ogni sua forma, misura e dimensione. Non mancano gli spari, e il sangue, le questioni d’onore, e ancora attesa, un treno che arriva e se ne va portandosi via qualcosa di profondo che ha a che fare con l’anima.

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